Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  maggio 16 Domenica calendario

Perché Cairo può perdere il Corriere

Il paradosso di Urbano Cairo è questo. Cinque anni fa ha preso un’azienda editoriale abbastanza malmessa e peggio guidata – la Rcs che edita tra l’altro il Corriere della Sera – e l’ha sostanzialmente risanata a colpi di tagli: ad esempio il 2020, nonostante un crollo del fatturato attorno al 20% (soprattutto causa Covid), si è chiuso in utile e con meno debiti. Ora, però, una maldestra – e si dice malconsigliata – iniziativa legale potrebbe costargli il controllo dell’azienda.
Serve un breve riassunto della situazione per capire perché il quotidiano che fu un tempo della buona borghesia lombarda – ed è da sempre al centro di battaglie furiose in quello stagno che è il capitalismo italiano – potrebbe passare di mano nei prossimi mesi. Tutto inizia nel 2013 quando Rcs – allora governato dal “salotto buono” degli Agnelli, di Mediobanca, Pirelli e compagnia cantante – decise di vendere il palazzo di via Solferino, storica sede del CorSera, al fondo Usa Blackstone per 120 milioni, firmando al contempo un contratto d’affitto dello stabile da 10,3 milioni l’anno. Un pessimo affare finalizzato con la consulenza del gruppo Intesa, all’epoca azionista e tra i maggiori creditori di Rcs.
Nel 2016 poi, all’esito di una complicata scalata favorita sempre da Banca Intesa, il controllo dell’azienda passò al parvenu Urbano Cairo, che tre anni prima s’era opposto – insieme a Diego Della Valle, al notaio Piergaetano Marchetti e pochi altri – alla vendita di via Solferino. Nel 2018 la scelta che ora sta mettendo nei guai il piccolo Berlusconi: la causa intentata con l’ausilio dello studio Bonelli Erede a Blackstone, accusata in sostanza di usura per essersi approfittata dello stato di bisogno di Rcs. Il lodo arbitrale seguito a quella causa, venerdì, ha visto vincitore il fondo Usa: Rcs ha venduto per motivi “gestionali”, dicono gli arbitri, non perché fosse costretta “a ogni costo” e ha venduto agli americani perché le consentivano di incassare subito. Non solo tutte le richieste di risarcimento di Rcs sono state respinte, ma ora per l’azienda potrebbero arrivare i danni veri.
La situazione è questa. Quanto a Rcs, archiviata recentemente anche l’inchiesta penale per usura, le resta solo l’impervia strada di un ricorso contro l’arbitrato. Nel frattempo, però, a New York ripartirà la causa per danni presentata da Blackstone (sempre nel 2018 il contenzioso le ha impedito di vendere il palazzo ad Allianz per 250 milioni): il fondo chiede 300 milioni a Rcs e 300 milioni a Cairo in persona, che però ha ottenuto la manleva totale dal cda dell’azienda che lui controlla col suo 65%. Cifre che la ex Rizzoli è lontanissima dal potersi permettere: capitalizza 400 milioni e non ha appostato neanche un euro al fondo rischi.
Una soluzione, la più razionale, sarebbe un accordo tra le parti, ma difficilmente Blackstone vorrà arrivarci con chi li ha definiti usurai. Per questo a Milano e tra gli altri azionisti forti di Rcs – che non hanno mai amato l’uomo che li aveva messi in mutande nel 2016 – si ricomincia a parlare di una nuova proprietà: Del Vecchio, i Pesenti o chissà chi altro. Una soluzione che non dispiacerebbe neanche a Intesa, che da advisor sarebbe stata – secondo l’accusa – oggettivamente complice dei “cravattari”. Brutte giornate per Cairo, che ha perso l’arbitrato e si trova pure col suo Torino in lotta per non retrocedere in Serie B e una mezza rivolta dei tifosi: potrebbe mai reggere se non fosse più il padrone di Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport?