Il Sole 24 Ore, 15 maggio 2021
Il business dei vini senza alcol
«I numeri dicono che il 70% circa della popolazione mondiale non acquista bevande alcoliche, ma potrebbe consumare prodotti derivati dal vigneto. Quello del vino senza alcol è quindi un business dalle potenzialità enormi. Cosa vogliamo fare: provare ad avere un ruolo da protagonisti, oppure restare spettatori mentre qualche multinazionale del beverage se ne impossesserà?»
Mentre dal Parlamento italiano ancora risuonano le urla belluine e i toni da guerra di religione (il vino è proibito dalla religione musulmana mentre è ben presente nel Vangelo) dei tanti politici italiani che si sono scagliati contro il tentativo di Bruxelles di regolamentare il vino dealcolato, dal mondo delle imprese, attraverso le parole del segretario generale dell’Unione italiana vini, Paolo Castelletti, arriva un accorato invito alla riflessione.
«Mi incuriosiscono la sorpresa e lo scandalo – aggiunge Castelletti – di diversi Europarlamentari. Questo dossier è in discussione a Bruxelles da almeno due anni e mezzo ed è stato oggetto di almeno due votazioni al Parlamento Ue. Adesso siamo in attesa del “trilogo”, ovvero della decisione congiunta di Parlamento, Commissione e Consiglio dei ministri. Il punto è modificare le norme che attualmente impediscono di chiamare vino un prodotto con meno di 9 gradi alcol. Nelle proposte avanzate finora si introducono invece le fattispecie dei vini parzialmente dealcolati (tra 0,5 e 9 gradi) e dealcolati (sotto i 0,5 gradi). Quello che sfugge all’attenzione di molti è che regolamentare queste produzioni all’interno dell’Organizzazione comune di mercato del vino significa ancorarli al vigneto e all’uva e soprattutto agganciare questo nuovo business alla filiera vitivinicola. Altrimenti si diffonderanno bevande parzialmente a base di uva ma realizzate con acqua e zucchero e senza alcuna ricaduta positiva per il vino e i viticoltori».
Molti hanno visto nelle norme allo studio di Bruxelles un fronte di attacco al sistema delle denominazioni d’origine. «Vedremo – aggiunge Castelletti – cosa deciderà il trilogo. Noi siamo per escludere dal tema dei vini dealcolati l’universo delle indicazioni geografiche. In tutti i modi non credo che in futuro si potrà arrivare a sottrarre alcol al vino di un’area senza il consenso dei produttori».
Uno dei temi che più ha acceso nei giorni scori le polemiche è stato quello sulla presunta autorizzazione da parte di Bruxelles all’aggiunta di acqua al vino. «In realtà si è trattato di una puntualizzazione – spiega Ignacio Sanchez Recarte, presidente del Ceev, l’associazione europea delle industrie del vino –. Nel processo di “estrazione” del alcool viene separata anche una parte non indifferente di acqua. Quest’acqua, endogena al vino, in base al chiarimento della Commissione può essere rincorporata. Non si tratta quindi di alcun ‘annacquamento’ che avverrebbe solo con acqua esogena al processo produttivo e che resta pratica vietata».
Al di là delle disquisizioni tecniche e giuridiche anche in Italia (oltre che in Francia e Spagna dove sono già scese in campo importanti brand del vino) non mancano produttori per i quali i vini dealcolati sono già una realtà. «Ho cominciato circa otto anni fa – spiega Michele Tait che produce una linea chiamata “Alternativa” di vini dealcolati rossi, bianchi o frizzanti –. Con le attuali regole non posso chiamarli vini ma solo bevande ma che mi consentono di portare sulle tavole di chi non beve alcol un prodotto della terra. Compro vino e sottraggo alcol mediante una membrana permeo selettiva. Nel 2018 ho prodotto 40mila bottiglie salite a 70mila nel 2019 e 110mila nel 2020. Quest’anno supererò le 100mila a fine giugno quindi si prevede un raddoppio a fine 2021. Esporto in tutto il mondo ma vendo anche in Italia soprattutto mediante l’e commerce». I prezzi? Da non credere: «Dagli 8 ai 12 euro a bottiglia». In molti casi molto più di un vino vero.
«Si tratta di un tema complesso che non ha nulla a che fare con gli stornelli romani né con gli osti truffaldini – aggiunge il presidente di Federvini, Sandro Boscaini –. Per noi il vino resta un prodotto con una componente di alcol. Il punto è un altro e cioè creare mediante tecnologie sofisticate, prodotti che possano incontrare il pubblico di mercati nuovi che non conoscono il vino o come quelli arabi che lo avversano per motivi religiosi. E poi c’è un altro aspetto. Sono un agricoltore anch’io e ai miei colleghi agricoltori faccio una domanda: è meglio commercializzare un prodotto del vigneto con caratteristiche diverse per raggiungere nuovi consumatori o continuare ad avere giacenze di invenduto e chiedere a Bruxelles interventi di distillazione per ridurre l’offerta?».