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 2021  maggio 15 Sabato calendario

Il mandolino va di moda

Non solo pizza, ma anche polenta. Musicale. Il mandolino sarebbe più milanese che mai, e non napoletano (o almeno soltanto), come la «vulgata» fino a oggi ha fatto credere. Addio alle frasi da giro del mondo della serie «spaghetti e mandolino», magari figlie di una visione popolar partenopea. Il mandolino dal fascino lombardo esiste, eccome. C’è lo strumento meneghino, la versione brianzola e anche bresciana, e via così fino alle strade che portano alla Serenissima. Poi, fuori dai confini, lo strumento si trova ovunque. In Giappone, ogni università ha un’orchestra dedicata. Altro che Napoli, da dove – si narra – partì una piccata reazione in replica al nuovo assunto nordista: «Il mandolino è vostro? È allora tenetevelo». Detto e fatto. 
Nella capitale lombarda, ora si è (quasi) pronti a organizzare un convegno che, emergenza sanitaria permettendo, si potrebbe tenere in autunno, con un titolo scelto senza tanti giri di parole: «Il mandolino a Milano e in Lombardia nei secoli XVIII e XIX». Padre di tutto questo, che in un certo senso è una piccola «rivoluzione», un professore del Conservatorio «Giuseppe Verdi», docente da una vita di questo cordofono. Lui, Ugo Orlandi, spiega come stanno le cose. Intanto l’origine della liuteria che porterebbe al Castello tedesco della bella addormentata nel bosco (Neuschwanstein in Baviera, usato come icona dalla Walt Disney). Ma «dove il mandolino è nato nessuno esattamente lo sa – afferma il maestro – Le prime tracce nordiche sono contenute nel libro di Armonica capricciosa di sonate musicali da camera del 1681, a firma del compositore Tommaso Motta milanese». Il sommo autore, in quelle pagine, parla del mandolino a quattro o cinque o sei corde. «Notiziole» non da poco, perché oggi fanno capire il livello di diffusione nell’area lombarda dello strumento, «che tutti erroneamente ritengono di totale proprietà meridionale». Qui il «Nostro» ha avuto una forte presenza e radicamento culturale, «probabilmente piaceva assai». Il mandolino invece vedrà la luce cento anni dopo, presso Casa Vinaccia. Un viaggio nella storia e nel costume. Pronti via. 
L’«oggetto di culto» arriva dappertutto, nell’antichità nei collegi dei nobili, fa il giro del mondo e invade l’immaginario. Ed eccolo spuntare al cinema partendo da un romanzo di Louis de Bernières: la figura di capitano Corelli, dell’omonimo film ambientato a Cefalonia uscito; lui soldato sognatore, più interessato alle note da suonare. Ancora, il cordofono nei quadri seicenteschi del pittore Evaristo Baschenis, «nature morte» musicali; o in teatro sul palcoscenico della maschera bergamasca degli Zanni. Poi lo strumento nella storia, di moda negli anni della rivoluzione francese, farà «presa» in Italia durante il fascismo: «Mussolini a un certo punto ricorda – scopre di avere avuto un antenato mandolinista, Cesare Mussolini». 
«L’idea, con il conservatorio Verdi, è quella di organizzare giornate di studi – anticipa il professore mandolinista – Non tanto per confutare la tesi napoletana, da me apprezzatissima. Ma soprattutto per portare tutti quegli elementi storici e culturali che purtroppo il Novecento ha cancellato». Nel Nord e nel Sud strumenti diversi, qualcuno li ha paragonati alle «varietà regionali dei piatti di spaghetti». Le corde arrivano a suoni simili pur essendo generati da strutture diverse. Non c’è che dire: un mondo ricco di possibilità che forse pure nel cosiddetto «pubblico» andrebbe valorizzato. A proposito, le rimostranze non mancano. Il mondo artistico aspetta da parecchio che il mandolino venga «ammesso» nelle scuole medie a indirizzo musicale. I requisiti di certo non mancano. «Storie e repertori sono vasti – conclude Ugo Orlandi – Così come sono tanti i grandi autori che si sono applicati». Da Vivaldi a Mozart fino a Stravinsky, passando per Verdi e Boito. E non ultimo il compositore Luciano Chailly, padre di Riccardo, direttore d’orchestra (e artistico) al Teatro alla Scala, che compose ben quattro opere. Prima O mia bela Madunina, poi Funiculì funicolà.