la Repubblica, 14 maggio 2021
Bacchette e veleni
Attriti fra bacchette, la storia ne ha collezionati abbastanza. Ma di recente non così plateali come l’“affaire” del camerino divampato l’altra sera alla Scala tra i due Riccardo. Un “gelido saluto”, stando al linguaggio ovattato della comunicazione del teatro milanese; in realtà, a detta dei testimoni oculari, l’altisonante allontanamento dell’attuale maestro scaligero Chailly da parte del predecessore Muti al termine del suo concerto con la Filarmonica di Vienna. L’uno voleva congratularsi con l’altro, il quale però non ha gradito la visita. Le ragioni vanno magari ricercate nel fatto che ogni minimo accadimento alla Scala tende sempre a rasentare climi melodrammatici. E le tensioni, anche sindacali, createsi attorno alla riapertura post-lockdown del Piermarini hanno certo contribuito a esacerbare gli animi. Perché, al contrario, la sera prima a Firenze, la presenza di Zubin Mehta al medesimo concerto dei viennesi è stata salutata con gran cordialità da Muti, suo predecessore al Maggio. Chi alla Scala c’era, racconta poi che Muti abbia pure biasimato l’operato del sovrintendente Stéphane Lissner al San Carlo per avergli cancellato tre contratti. In effetti da Napoli arriva la conferma: il Maestro avrebbe dovuto dirigere tre recite nel novembre 2020, una nuova produzione di Don Giovanni in febbraio e pure i Wiener sarebbero dovuti arrivare, domenica scorsa. Solo che in quelle date il teatro era chiuso – riprende stasera con una Traviata in forma semiscenica.
Muti si è voluto togliere qualche sassolone dalle scarpe. Singolare, perché in genere i direttori scendono mal volentieri dal podio per beccarsi pubblicamente. Piuttosto preferiscono lasciar soltanto trasudare antipatie o disistima, in modo tale che agli occhi dei fan il confine fra verità e pettegolezzo non appaia netto. Succede da quando è nato il mestiere della bacchetta, nell’800. Così Richard Wagner non si preoccupò affatto di guastare i rapporti fraterni con Hans von Bülow fregandogli la moglie Cosima Liszt; comunque Bülow non smise mai di venerare le partiture dell’amico sleale.
Nel Novecento è Arturo Toscanini centro e innesco di diverse rivalità. La prima con Gustav Mahler, ai suoi tempi celebrato più come bacchetta che come autore: a detta della linguacciuta moglie Alma, nel 1908 fu costretto ad abbandonare l’incarico al Metropolitan di New York a causa delle prepotenze di Toscanini, che voleva maneggiare pure i titoli affidati per contratto al collega. Di natura politica fu invece il contrasto con Wilhelm Furtwängler e Victor de Sabata, interpreti non meno sommi, anche se del secondo Toscanini diceva che “dirige come cammina” – ed era zoppo, de Sabata, per la polio. Comunque, quando a Toscanini in rotta con il fascismo qualche papavero del regime provò a far cambiare idea, Mussolini che solo a sentirlo nominare perdeva il lume della ragione, ordinò ai suoi di lasciar perdere, “tanto abbiamo de Sabata!”.
Con Furtwängler, musicista a lui antitetico nella maniera di intendere il respiro della musica, Toscanini si confrontò a muso duro nel 1937, a Salisburgo. Qualcuno racconta che si trovarono in camerino (pure allora!), qualcun altro per strada. Fatto sta che l’italiano imputò al tedesco, direttore della Filarmonica di Berlino, di essersi compromesso fino al collo con il regime hitleriano. Doveva vergognarsi, gli disse, di dirigere, lì al festival, la Nona di Beethoven dove si canta di fratellanza fra esseri umani. Ma Furtwängler rispose che l’umanità è sempre libera – perfino dalle grinfie della Gestapo – dovunque si continui a far musica. Posizioni non conciliabili. Eppure entrambi, nel dopoguerra, accomunati dal giudizio sprezzante di Sergiu Celibidache, che non le mandava a dire: per lui Toscanini era “una fabbrica di note”, Furtwängler “un direttore pessimo”, e Herbert von Karajan, reo di avergli soffiato il posto a Berlino che già credeva suo, “o è un ottimo uomo d’affari o è sordo”.
L’ultima rivalità registrata dalle cronache riguarda ancora Muti. Contro Claudio Abbado. Esplosa sempre sul comune terreno scaligero. Ma sul punto Muti si è già espresso: «Fin dai miei primi tempi fiorentini un gruppo di fanatici volle attizzare una stupida sfida tra lui e me, via via montata sempre più. Giornalisti e i critici ci marciavano. Stupidaggini, tra noi c’è sempre stata stima reciproca».