Claudio Tito, la Repubblica 13/5/2021
Tribunale civile di Bruxelles. Per ora l’ultimo atto di questa vicenda si è chiuso venerdì scorso. Ma probabilmente ce ne saranno ancora altri. Oggetto: causa per la restituzione di circa mezzo milione di euro. Una citazione depositata proprio una settimana fa. Il proponente è la Feps, la Fondazione degli studi progressisti, ossia la Fondazione dei Socialisti europei. La Fondazione delle fondazioni di sinistra. Il ricevente: il penultimo presidente della stessa Fondazione. Ossia Massimo D’Alema. Al quale il Bureau chiede di restituire oltre 500 mila euro. Che secondo i nuovi vertici della Feps avrebbe intascato illegittimamente. E a confermare tutto è proprio l’Associazione in questione attraverso il suo segretario generale, Laszlo Andor: «Abbiamo presentato l’azione legale venerdì scorso ». E l’ex leader dei Ds, ascoltato al telefono, risponde: «Iniziativa immotivata. Andremo in giudizio e poi sarò io a chiedere i danni. Di certo è una vicenda che davvero mi amareggia».
La storia, però, è lunga. E va spiegata in tutti i suoi passaggi. L’ex segretario diessino viene eletto presidente della Fondazione legata al Pse nel giugno del 2010. Per tre anni quella carica viene svolta senza percepire alcuna remunerazione. Del resto tutti i suoi predecessori e l’attuale successore, la portoghese Maria Joao Rodrigues, non hanno mai ricevuto compensi. Dal 2013 però — da quando D’Alema non è più parlamentare — e fino al 2017 — quando abbandona la Fondazione dopo uno scontro con l’allora segretario del Pd Matteo Renzi — viene introdotta una novità. Un contratto siglato insieme all’allora Segretario Generale della Fondazione, il tedesco Ernst Stetter, per circa 120 mila euro l’anno. Di quel contratto, però, nessuno sa niente: non viene mai sottoposto all’attenzione dei suoi organismi dirigenti, né al Bureau né all’Assemblea. Da notare che la Feps è registrata in Belgio come Associazione senza scopo di lucro e il Bureau equivale ad un Consiglio di amministrazione di una società.
Quel documento viene custodito con attenzione e i pagamenti non vengono mai effettuati con i canali digitali.
Ma è nel 2019 che inizia a emergere qualche dubbio. Il segretario generale, Stetter, conclude il suo mandato ed entra in carica l’economista ungherese Laszlo Andor. Che nei primi passi del suo incarico compie una sorta di due diligence. Non una scelta a caso. Perché sa che da lì a poco sarebbe arrivata una richiesta ordinaria dal Parlamento europeo: fare un piccolo controllo sui bilanci. Perché? Perché queste fondazioni — tutte le fondazioni di questo tipo — ricevono dei sostanziosi sostegni da Strasburgo e periodicamente verificano come quei soldi vengono spesi. Sono finanziamenti pubblici e il controllo su come quei denari sono utilizzati è periodico e incisivo. Si svolge una sorta di audit interno e poi il dossier passa ad un meccanismo esterno di verifica. Qual è il primo risultato? Che negli anni successivi al 2017 emerge un consistente risparmio nel costo del lavoro. Una sorpresa. Per certi aspetti positiva, ma inspiegabile. Il nuovo Segretario generale allora cerca di capire se si è proceduto a dei licenziamenti. Ma niente, il personale è lo stesso. Il caso si infittisce. A quel punto, l’indagine viene approfondita. Fino a quando, appunto, non si scopre questo contratto intercorso solo tra D’Alema e Stetter.
I contatti con l’ex presidente italiano, allora, si fanno assidui. La presidente e il segretario generale della Fondazione si rivolgono al predecessore italiano: ristornare quei soldi. L’obiettivo, in realtà, è soprattutto rassicurare il Parlamento europeo e garantire i finanziamenti futuri senza i quali la Feps entrerebbe in difficoltà. Ma la trattativa non ha esito positivo. Gli attuali vertici voglio una «soluzione amichevole». Fanno presente che quel contratto esulava dall’ordinaria amministrazione e che c’era l’obbligo di sottoporlo al Bureau e all’Assemblea. È evidente — ammettono — che tutto nasce da una interpretazione differente sulla regolarità di quel contratto. E comunque siccome l’analisi compiuta dal Parlamento non era riferita all’intero periodo 2013-2017 (i primi anni venivano considerati prescritti), si poteva anche transare con un cifra inferiore. Veniva considerata anche una soluzione utile per non esporre alla pubblica opinione una vicenda interna. Per D’Alema che si è affidato allo studio legale Grimaldi, invece tutto è regolare: «Non è vero che doveva passare all’esame del Bureau. Non hanno nemmeno voluto ascoltare il segretario dell’epoca, Stetter. Lui aveva proposto di pagare le mie prestazioni intellettuali. Che ho fatto valutare da una società ad hoc: valgono di più di quel che mi hanno dato. E alla Feps ho anche regalato un libro senza pagare i diritti».
E così di trattativa in trattativa si arriva al 30 marzo scorso. Ore 17,30 si riunisce l’Assemblea (on line) e viene convocato anche lo stesso D’Alema. L’invito è di nuovo a transare, altrimenti la via della causa legale sarebbe diventata inevitabile. L’ex premier italiano si difende, ribadisce la sua buona fede e soprattutto insiste sulla legittimità dei suoi comportamenti. Si arriva al voto, facce torve anche se solo sui monitor. Soprattutto i socialisti del nord Europa sbuffano impazienti e increduli. Sono presenti 25 fondazioni europee tra cui 4 italiane: la Fondazione Socialismo, la Fondazione Gramsci, la Fondazione Pietro Nenni e la Fondazione ItalianiEuropei, quella di D’Alema. Il voto finisce con 23 favorevoli alla causa civile e 2 astenuti. Causa civile da intentare dopo un estremo tentativo di mediazione. Che evidentemente non dà il risultato sperato visto che venerdì scorso l’intero incartamento è stato depositato presso il tribunale civile di Bruxelles. Il Bureau è stato di nuovo convocato. Per martedì prossimo. E ancora il Segretario generale in carica spera: «Sebbene l’azione legale sia stata avviata c’è sempre la possibilità di una soluzione amichevole».
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Concetto Vecchio, la Repubblica 14/5/2021
Presidente D’Alema, è vero che lei percepiva diecimila euro mese dalla Feps, la rete delle fondazioni dei socialisti europei?
«Sì, ma sono 5.000 euro netti».
Per quanto tempo è stato retribuito?
«Dal 2013 al 2017. I primi tre anni della mia presidenza alla Feps, dal 2010 al 2013, ero ancora parlamentare e ho svolto le mie funzioni gratuitamente».
E perché dal 2013 venne retribuito?
«Dopo l’uscita dal Parlamento avevo molte offerte di lavoro. In particolare da una società inglese che organizza eventi internazionali, Chartwell, che mi offriva quattro volte quello che poi ho preso dalla Fondazione. Il segretario generale Ernst Stetter mi propose di concentrare tutto il mio impegno sul lavoro della Fondazione, proponendomi un contratto che prevedeva anche una clausola di esclusività, per remunerare le mie prestazioni che andavano al di là della mia normale attività di presidente».
Questo perché?
«Il segretario generale non voleva creare un precedente di uno stipendio pagato per il ruolo. Volle, d’intesa con il tesoriere, mantenere il principio per cui alla Feps era remunerato il lavoro».
Ora però perché la Feps le fa causa, e le chiede di restituire 500mila euro?
«Il contratto è stato fatto secondo le procedure regolarmente eseguite per tutti i contratti e regolarmente protocollato. Trovo sconcertante il modo in cui è stata gestita questa vicenda. Non è mai stato sentito il segretario generale che ha redatto il contratto. La notizia della citazione in giudizio è stata notificata prima a Repubblica che a me. Tutto questo ha lo stile di una vendetta politica e personale».
Ma chi la vuole colpire?
«Io lo so da dove viene questo attacco».
Non è singolare che del suo contratto non venne informata l’assemblea della Feps?
«Non ho seguito la parte procedurale. Faccio però notare che i contratti non sono documenti segreti e che ogni membro del bureau avrebbe potuto esaminarli, tanto è vero che quando hanno aperto l’armadio lo hanno trovato. Credo che molti sapessero di questo e di altri contratti».
Cosa vuol dire?
«Stetter, prima di procedere, chiese un parere a una società di contrattualistica belga, Securex, che rispose che era possibile retribuirmi per funzioni diverse da quelle di presidente».
Insisto: perché allora le fanno causa?
«Sostengono che la procedura sia stata irregolare, perché nel mio caso in quanto presidente, avrebbe dovuto esserci una deliberazione dell’assemblea, ma in questo contratto è molto chiaro che io sono stato retribuito non per la funzione, ma per l’attività svolta».
E in che cosa consisteva l’attività svolta?
«Conferenze in giro per il mondo, attività politica. Nel 2016 andai Città del Messico, Bruxelles, Teheran, Washington. Ecco, guardi qui: sei interventi nei primi tre mesi del 2016, venticinque in tutto l’anno. Ho lavorato moltissimo».
Come veniva pagato? In contanti?
«Scherza? Con regolare bonifico, e ho pagato le tasse, in Belgio, per l’attività svolta a Bruxelles, in Italia, per quella svolta nel resto del mondo: ero soggetto a una doppia imposizione. Penso di avere largamente onorato quel contratto, e di essere stato pagato meno del valore delle mie prestazioni».
Chi lo stabilisce questo valore?
«Ho chiesto a una società di redigere una perizia da fare valere nella causa».
Come si chiama questa società?
«Non intendo rivelarne il nome. Le dico solo che da quando non presiedo la Feps guadagno molto di più naturalmente».
Col senno di poi non fu un errore non avvisarli?
«Qui non stiamo discutendo di norme di comportamento, potrei anche accettare qualche critica da questo punto di vista, ma si è avviata una procedura legale accusandomi di avere compiuto un atto illegittimo. Deciderà un giudice. Sono sicuro di vincere questa causa».
Il sospetto è che lei avesse un ascendente su Stetter.
«Stetter è stato segretario generale della Fepsper undici anni, è persona autorevole e di grandi capacità. Comunque ora è pensionato come me en on potrei condizionarlo in alcun modo. Perché non lo si ascolta?».
Perché non ha fatto la transazione?
«I miei avvocati hanno ribadito la nostra volontà ad una soluzione amichevole e dignitosa, più per amore dell’istituzione che per convenienza. La risposta è stata la denuncia e la divulgazione ai giornali».
Su 25 Fondazioni, tra cui quattro italiane, ben 23 si sono espresse per la causa. Come lo spiega?
«Ritengo sia stata raccontata una storia non vera e che lo svolgimento della vicenda chiarirà a tutti come stanno le cose».
È sicuro che rifarebbe tutto daccapo?
«Ho onorato i miei impegni e so di essermi guadagnato lo stipendio».