Il Messaggero, 14 maggio 2021
Intervista a Baby K
I capelli color biondo platino, come i dischi – tredici in tutto – che ha conquistato con le hit degli ultimi anni, da Voglio ballare con te a Non mi basta più, passando perDa zero a cento e Playa, oltre 500 milioni di visualizzazioni su YouTube (lo scorso anno è stata la prima artista in Italia ad aver superato il miliardo di views complessive sulla piattaforma) e 210 milioni di ascolti su Spotify. La collaborazione dello scorso anno con Chiara Ferragni e lo spot di un noto marchio di prodotti di bellezza. I video coloratissimi delle sue canzoni, tutti sorrisetti ammiccanti e coreografie che sembrano essere pensate per i balli di gruppo in spiaggia: quello di Pa Ti, il singolo appena uscito in duetto con Omar Montes, il re della nuova scena trap e urban spagnola, è stato girato in Sardegna. Però guai a considerare Baby K – vero nome Claudia Nahum, 38 anni, nata a Singapore ma cresciuta a Roma – solo come la regina dei tormentoni estivi: «Perché fermarsi solo a questo aspetto? Oltre la leggerezza c’è anche altro», polemizza la cantante.
Cosa?
«Non ci si sofferma mai sul fatto che i miei successi portano tutti la mia firma, ad esempio».
Sta dicendo di essere una cantautrice?
«Di fatto lo sono».
Anche se fa canzoni frivole e disimpegnate che parlano di relazioni occasionali, cocktail, tuffi nel mare?
«Sì. Katy Perry, negli Usa, ha sempre pubblicato singoli accompagnati da video colorati e patinati, un po’ alla Candy Candy: eppure lì viene considerata una cantautrice. Nel pop italiano, invece, ci sono pregiudizi che riguardano soprattutto le donne: non siamo trattate e percepite alla stregua dei colleghi uomini. Una ragazza, una donna, può essere profonda nonostante l’approccio leggero».
E la sua, di profondità, sta tutta nel fatto di essere autrice dei suoi successi?
«No. Un’altra cosa che non viene mai sottolineata è che quest’anno festeggio quindici anni di carriera: la mia è iniziata nel 2006, non con Roma-Bangkok».
Fino ad allora che aveva fatto?
«Dischi autoprodotti, collaborazioni con giganti della scena rap come Amir e Bassi Maestro, un album con Tiziano Ferro. Ne ho visti di fenomeni del momento passare e durare solamente una stagione. Il mio percorso non è stato facile».
Perché?
«Quando facevo rap le radio non ne volevano saperne di passare i miei pezzi. Mi buttai sul reggaeton quando in Italia era ancora avanguardia. Ancora oggi su questo genere ci sono troppi pregiudizi: pensare che abbia una stagionalità è da ignoranti, stiamo parlando di un movimento culturale, nel mondo il latin vende tantissimo».
A cosa sono legati?
«Forse il fatto che dopo il mio successo molti si siano dati al reggaeton per essere passati dalle radio, trasformandolo in una tendenza, ha alimentato questa percezione sbagliata. La mia fu una scommessa. Singolo dopo singolo sono riuscita a costruirmi una carriera longeva».
È stata la prima rapper donna a imporsi a livello mainstream: pensa che le altre venute dopo di lei, da Anna a Madame, e Chadia Rodriguez, glielo riconoscano?
«Non credo, ma pazienza. Quello che ho fatto resta. Io alla loro età avevo un culto per grandissime come La Pina o Posi Argento. Se devo essere sincera quel mondo oggi non lo seguo più».
Non le interessa?
«L’unica è Madame, che però per me è una cantautrice. Forse proprio per questo la trovo interessante. Io, invece, non mi considero neppure più una rapper: ormai faccio canzoni pop e ho un seguito diverso».
È vero che Sandra Milo è una sua fan?
«Sì. È attivissima su Instagram, commenta tutti i miei post. Una volta ci siamo anche parlate in chat. Mi ha ricordato di quando qualche anno fa ci incontrammo in un bar, a Roma: non mi fermò, ma mi riconobbe».