il Fatto Quotidiano, 14 maggio 2021
Il peggio della diretta
Vedendo il professor Massimo Galli inveire come fosse posseduto dallo spirito di Vittorio Sgarbi (“Ma si vergogni!”), poi annunciare il ritiro dalle scene come fosse Totti (ma solo per 15 giorni, poi vediamo i dati); ascoltando il professor Bassetti valutare il ddl Zan (“Mi sembra una buona legge, anche se io sono di idee liberali”); intercettando l’analisi della professoressa Viola sull’intervento di Fedez (“Non mi è piaciuta la scena, ma non mi piace il concetto di censura”), vedendo poi Lilli Gruber complimentarsi per l’uscita del libro della immunologa, dal veltroniano titolo Danzare nella tempesta… dopo queste forti emozioni catodiche, d’improvviso, ho capito perché il coronavirus varia, l’ho capito meglio di quando il professor Burioni lo spiega alla lavagna. Il virus varia per sopravvivere. O varia, o sparisce.
Ma facciamo un passo indietro. Un anno fa, in un clima di tenebrosa ignoranza, apparvero in tv i primi virologi, infettivologi, eccetera. Clinici reali, non George Clooney con il camice bianco o il dottor House. Uno shock per il pubblico, che non vedeva uno scienziato vero dai tempi di Dulbecco a Sanremo. Da allora, i prof non se ne sono più andati; hanno continuato a fornire previsioni più o meno fosche sulla pandemia. Ma se i contenuti erano sempre quelli, nei toni qualcosa ha preso a variare, ogni giorno si facevano sempre meno uomini di scienza e sempre più uomini di spettacolo, opinionisti fatti e finiti. La metamorfosi è più tangibile man mano che la terza ondata va scemando; chi insiste nel non sottovalutare la variante nigeriana; chi non disdegna di dire la sua sui fatti del giorno; chi impugna la sciabola per difendere Ippocrate dalla politica. Tutte mosse funzionali al poter restare in tv sine die, magari anche dopo l’emergenza. I virologi variano per sopravvivere, esattamente come i virus. Tra un anno rischiamo di trovarli ancora lì. E chissà se si troverà un vaccino: la variante televisiva sembra più infettiva della nigeriana.