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 2021  maggio 14 Venerdì calendario

Intervista allo scrittore Michel Bussi

Michel Bussi ha pubblicato il suo primo romanzo a quarant’anni, dopo che da quindici scriveva nei ritagli di tempo dell’attività di geografo e professore universitario a Rouen, e spediva invano manoscritti alle case editrici parigine. Code Lupin, mash-up tra il ciclo di Arsenio Lupin e il Codice Da Vinci di Dan Brown, usciva nel 2006, dieci anni dopo l’autore era pubblicato in 35 lingue e con i suoi romanzi “suspense” (come ama definirli) era in vetta alle classifiche. Ancora nel 2021 è il terzo autore più venduto di Francia. Fino a poco tempo fa, però, c’era un libro che Bussi non aveva ancora scritto. Un thriller esoterico sul mito dell’Arca di Noè, che si chiude sull’Ararat, a migliaia di chilometri dall’ambientazione prediletta dei suoi romanzi, la Normandia (uno su tutti: Ninfee nere). Il romanzo si intitola Tutto ciò che è sulla terra morirà ed è uscito da poco.
Un thriller esoterico è in qualche modo un ritorno alle origini per lei?
In effetti è un’idea che avevo nel cassetto fin da giovane, e che ho anche cercato di sviluppare in molti modi diversi: dalle sceneggiature ai fumetti, ai film. La prima fonte di ispirazione è stato L’uomo che volle essere re di Rudyard Kipling.
Quanta dose di realtà c’è nella trama?
Negli anni ho accumulato una lunga bibliografia sull’Arca di Noè. Molto si basa su resoconti di esplorazioni sul monte Ararat realmente avvenute. Si può credere o meno a quello che dicono di aver trovato, ma il corpus di documenti su cui mi baso è reale. Poi mi sono divertito a prendere gli aspetti più misteriosi della documentazione e comporli a creare un universo di finzione originale.
Un ruolo importante lo giocano i rappresentanti delle religioni rivelate. Ma nessuno dei personaggi sembra davvero credente, non trova?
La storia ruota attorno a un segreto legato alla vita extraterrestre che, se rivelato, farebbe crollare le religioni monoteiste. Per questo ho inventato un organo totalmente immaginario come il Parlamento mondiale delle religioni e il suo presidente Viorel Hunor che cerca di evitare che il segreto venga portato alla luce. Non discuto l’esistenza di Dio né voglio presentare la religione come una macchinazione. Piuttosto, la trama riprende una costante storica, ovvero il fatto che i detentori dell’autorità hanno spesso sacrificato persone innocenti per preservare gli equilibri di potere, qualunque essi siano.
Perché non ha mai creato un personaggio ricorrente, magari un detective?
Avrei difficoltà. Prediligo le storie one shot, preferisco creare ogni volta da zero atmosfere e personaggi nuovi, che peraltro spesso muoiono alla fine del libro. In realtà, non sono un grande amante del giallo classico, con un ispettore, un delitto, una serie di potenziali colpevoli e un arresto conclusivo. Non che non ci abbia provato: ho cominciato un paio di romanzi partendo da un poliziotto incaricato di un’indagine, ma mi sono annoiato. Non è il mio modo di creare storie. Gli investigatori, per me, arrivano sempre molto dopo gli eventi.
Quindi non la affascina il razionalismo caratteristico del giallo…
Il codice del giallo è basato su una forma di razionalità piuttosto semplice. Penso che le mie storie in qualche modo facciano crollare questo castello razionalistico. Ma c’è dell’altro. Spesso i gialli sono un pretesto per affrontare temi di attualità, politici o sociali. Io cerco qualcosa che potremmo definire più “gratuito”, cioè concentrarmi sulla trama, sulla sua complessità e la sua originalità.
Il suo stile è cambiato nel tempo?
Se guardo Gravé dans le sable, il primo romanzo che ho scritto (poi riadattato e pubblicato nel 2014, ndr) non mi sembra di aver cambiato molto del mio modo di raccontare, di descrivere una scena o intrecciare un dialogo. Credo di applicare sempre la stessa intuizione: quando trovo la storia, trovo immediatamente anche il modo in cui farlo. Direi anzi che l’intuizione è il 90% del mio successo. Non ci sono ricette: uno scrittore ha successo quando la sua intuizione, cioè il modo in cui le storie si formano nella sua testa, incontra i desideri del pubblico.
A proposito, spesso è stato notato che molto del suo successo si deve al pubblico femminile…
La premessa da fare è che il pubblico delle lettrici è così ampio che qualunque scrittore ha un pubblico femminile a prescindere da ciò che scrive. Ciò detto, effettivamente i miei libri piacciono alle donne, probabilmente perché combinano la suspense con una dimensione più malinconica, a volte lirica, legata ai temi dell’infanzia, della maternità o della costruzione dell’identità. Temi che sono comunemente qualificati come femminili, anche se è una semplificazione. Però mi è capitato spesso di constatare che tra i miei lettori ci sono donne che non leggono volentieri altri tipi di polizieschi, come i noir. Da questo punto di vista, forse Tutto ciò che è sulla terra morirà è il mio romanzo meno adatto al pubblico femminile.