Il Sole 24 Ore, 14 maggio 2021
Lacontroriforma di Sanchez sul lavoro
Il patto tra Madrid e Bruxelles è chiaro: per ricevere dall’Unione europea i 140 miliardi di euro (tra aiuti diretti e prestiti agevolati) del Recovery fund, il governo di Pedro Sanchez si è impegnato e realizzare 102 riforme per cambiare e rinnovare nel profondo l’economia spagnola. Nel Piano di ripresa, trasformazione e resilienza spagnolo (definito dopo numerose e non sempre amichevoli riunioni con gli esperti Ue) ci sono progetti ambiziosi che si concentrano in modo particolare sulla digitalizzazione del Paese e sulla transizione verso un’economia più verde e sostenibile. Ma sono tre le riforme che metteranno alla prova la coalizione di sinistra, che oltre ai Socialisti di Sanchez comprende l’estrema sinistra di Unidas Podemos: le pensioni, il Fisco e soprattutto il mercato del lavoro, per rivedere le regole introdotte dai Conservatori e ridurre il lavoro precario.
Sono tre riforme da fare rapidamente, per stare ai patti con la Ue: «Le scadenze concordate si rispettano. I fondi europei dipendono da queste grandi trasformazioni», ha detto Yolanda Diaz, ministra del Lavoro e dell’Economia sociale: «Il 2022 – ha aggiunto – inizierà con un nuovo quadro di regole sul lavoro», subito inoltre «verranno avviati sette progetti da 2,3 miliardi di euro per sostenere l’occupazione dei giovani e delle donne».
La riforma del mercato del lavoro può rappresentare la svolta per Sanchez. Le regole introdotte nel 2012 per aumentare la flessibilità sono state (assieme al pugno di ferro contro la Catalogna) il segno distintivo del premier conservatore Mariano Rajoy che ha sempre rivendicato, non senza una parte di ragione, di avere sostenuto, proprio con la maggiore flessibilità in uscita, la ripresa delle imprese travolte dalla crisi finanziaria internazionale e dalle difficoltà dell’Eurozona.
La riforma di Rajoy ha tuttavia accentuato alcune distorsioni, senza risolvere il problema di fondo: la precarietà, la spaccatura tra lavoratori protetti e lavoratori senza prospettive (soprattutto donne e giovani). Anche durante la fase di crescita, la graduale riduzione del tasso di disoccupazione, fino al 14% del 2019 dai picchi del 26% di inizio 2013, non è stata realizzata attraverso occupazione di qualità (in termini di produttività) e non ha riportato gli esclusi nella popolazione attiva (anzi).
«Non è solo una modifica della riforma del lavoro voluta dal Partito popolare, perché la riforma che vogliamo realizzare è molto di più. Ma senza dubbio è il superamento delle regole attuali», ha detto Yolanda Diaz. «Non si possono fare le riforme di un Paese senza i giovani. Non c’è futuro – ha detto ancora Diaz – se non affrontiamo l’enorme debito che la Spagna ha con i suoi giovani».
Per Sanchez e per la sinistra spagnola la riforma del lavoro è dunque una battaglia «sui diritti e sull’uguaglianza». E la crisi causata dal Covid ha reso evidente «l’urgenza di interventi strutturali anche sul mercato del lavoro», come ha ricordato ieri il governatore della Banca di Spagna, Pablo Hernandez de Cos, spiegando che «il Pil spagnolo tornerà ai livelli prepandemici solo nel 2023» dopo essere crollato dell’11% nel 2020. La stessa Banca di Spagna ha suggerito un sistema di compensazione del licenziamento per i precari – detto mochila austriaca, lo zaino austriaco – nel quale il lavoratore durante la sua vita lavorativa accumula e porta con sé, di contratto in contratto, un suo fondo individuale di indennizzo: «È un sistema che ridistribuisce e bilancia la tutela per il licenziamento tra lavoratori a tempo indeterminato e a tempo, aumentando la tutela di questi ultimi, tendenzialmente giovani e lavoratori a basso reddito. Inoltre, favorisce una maggiore mobilità volontaria e, quindi, l’efficienza e la produttività dell’economia».
Il governo, che ha avviato il confronto con i sindacati e le imprese, sta valutando questa e altre possibilità. Di certo – fanno sapere dalla Moncloa – «c’è l’esigenza di semplificare il numero dei contratti di lavoro che esistono oggi per averne solo tre: a tempo indeterminato, a tempo determinato e di formazione». Si studiano inoltre meccanismi per legare la cassa integrazione alla formazione. È certa la rivalutazione dei contratti di settore su quelli aziendali e – nonostante le affermazioni ufficiali – non è esclusa una revisione delle norme sui licenziamenti che Rajoy aveva reso meno stringenti, anche tagliando gli indennizzi del 30 per cento.