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 2021  maggio 13 Giovedì calendario

Si possono avere più di 150 amici?

Da un po’, avevamo preso per buono un numero: 150. Era il limite massimo di amici che la scienza confidava potessimo gestire. L’aveva calcolato l’antropologo di Oxford Robin Dunbar nel 1993. 
Erano tanti, ma venivano contati non quelli pronti a portarci un’aspirina alla tre di notte o a prestarci dei soldi alla bisogna, ma «quelli coi quali non ci troveremmo in imbarazzo incontrandoli nella sala d’attesa dell’aeroporto». Restava un numero ragguardevole, ma con l’avvento dei social qualcuno aveva smesso di considerarlo un traguardo. Sempre ammesso che, in una sala d’attesa, «in presenza», fossimo poi in grado di riconoscere gli amici di Facebook. È finita anche questa illusione: uno studio dell’Università di Stoccolma ha analizzato la capacità della corteccia neocerebrale ritenendo che non ci sono limiti al numero di connessioni sociali che possiamo mantenere. Pare sia solo questione di impegno. Il ricercatore Johan Lind, vicedirettore del Centro di Evoluzione Culturale dell’università svedese, ha spiegato al New York Times: «Con l’allenamento, possiamo imparare migliaia di cifre di pi greco e, allo stesso modo, se ci impegniamo con molte persone, diventeremo più bravi a farcele amiche». Insomma, abbiamo creduto che chi aveva tanti amici era fortunato, poi, con la mutazione antropologica e tecnologica del termine, abbiamo pensato che fosse un ingenuo, ora, dobbiamo ravvederci: chi ne ha tanti è intelligente. Aggiunge Lind che gli amici più utili rischiano di essere quelli dal numero 151 in poi, i più negletti, trascurati, quelli che ci vengono in mente per ultimi o mai, quando non sappiamo più dove sbattere la testa. Insomma, la scienza raccomanda che amicizia faccia rima con opportunismo. 
La teoria dà il capogiro a Veronica Pivetti: «Io in una sala d’aspetto non mi sentirei a disagio al massimo con due o tre persone», dice l’attrice che su Raitre conduce Amore Criminale. «Di amici ne avrò neanche quindici, sono molto lontana dal concetto di amicizia di questi studiosi». Certo, veniamo dalla pandemia, da «uniti ce la faremo», dai canti sul balcone alle sei del pomeriggio. A Stoccolma, probabile, lo chiamerebbero «allenamento», però in zona gialla già resta poco delle videochiamate da lockdown e degli apericena su Zoom. Ammette Pivetti: «Mi è piaciuto risentire amici che non sentivo da tanto, ma ora, tutto è tornato come prima. Credo sia stato l’effetto della catastrofe da film, da “aiuto arriva le fine del mondo”: abbiamo fatto cose sulla spinta adrenalinica del pericolo. Poi, tragicamente, ci si abitua a tutto». 
La scrittrice Chiara Gamberale, che sulla sua baraonda di amici ha scritto anche L’arca senza Noè, è invece perfettamente sulla linea svedese: «L’amicizia mi riesce bene, diversamente dall’amore. A me, ha salvato la vita. Ho rabbrividito al concetto di “congiunto”: nel mio libro di riflessioni sulla pandemia, Come il mare in un bicchiere, ho proposto di nominare cinque “congiunti” non di sangue». La sua sala d’aspetto dell’aeroporto dovrebbe essere un hangar: «Ci starebbero almeno duemila persone. Metto dentro quelle incontrate in 40 anni di viaggi: mi stanco a parlare del tempo e di politica, entro subito in discorsi intimi, m’interessa come vivi, come ami». I suoi amici veri stanno nel numero di Dunbar: «I più cari sono l’amica con cui andai in gita in prima elementare e uno del ginnasio. Non dico che gli amici veri si conoscano solo a quell’età, ma ho una mia teoria: fra quelli nuovi che ogni anno butto nella mia arca senza Noè, entra solo chi sarebbe diventato mio amico anche allora». Sottolinea Chiara che avere amici è un lavoro: «Una volta, il padre di mia figlia notò che sacrifico all’amicizia molto tempo. Lui, per dire, sta imparando la sesta lingua, io non potrei. Gli ho risposto: però al mio funerale ci saranno un sacco di persone».  
Luca Bizzarri, del duo Luca e Paolo, si chiede «che cavolo hanno da fare all’università di Stoccolma?». E si autodenuncia: «Non sono ferrato nelle scienze sociali, ho forse tre amici e anche con quei tre ho difficoltà relazionali. Sono un pessimo amico, di quelli che spariscono». Giura che il suo personaggio preferito di Disney è Dinamite Bla: «Un vecchio con la doppietta che spara a ogni persona che vede». È fra quelli che, in pandemia, ne hanno approfittato per diventare ancora più asociali: «L’altra sera, un amico, per convincermi a uscire, mi ha invitato a 20 metri a piedi da casa mia… Diciamo che ho arredato un tunnel, mi ci trovo bene e ora ho bisogno di tempo per tornare a frequentare le persone». Nell’isolamento, ha collezionato un milione e mezzo di follower su Twitter, ma dice «non so neanche se quelli con cui parlo esistono. Magari è un anno che sto parlando con dei computer». A Stoccolma, non specificano se è «allenamento cerebrale» anche chattare con un fake. Di certo, il fake non ti porta un’aspirina alle tre di notte.