Bravo papà». Il giorno dopo la mamma, Francesca Rocca detta Frou, ci racconta chi è la piccola Emma e come è cresciuta in questa famiglia speciale.
Emma credeva nella vittoria?
«Quando hanno annunciato la candidatura mi ha detto: "Mamma, non so perché, ma sento che vincerà". Le ho risposto che la cinquina è già un grande premio.
"Andiamo senza tante aspettative, ma prepara qualcosa che senti di voler dire". Mi sembrava bello che fosse lei a ritirare il premio, anche perché Figli è ispirato ai nostri cuccioli. Il fratello Nico, 5 anni, non è voluto venire agli studi Rai: "Ma proprio no". Emma ha letto quello che aveva scritto, io non ho modificato nulla. Ha dimostrato grande penna e grande cuore, la capacità di tenere a bada l’emozione, enorme, che aveva addosso. Una lucidità e una generosità che erano proprie del padre. Non ce l’aspettavamo, il premio, ma la felicità in queste due settimane trascorse con la candidatura è andata di pari passo con il dolore enorme di non poter vedere Mattia ritirare il premio. Il dolore non ci abbandona mai, ma riusciamo a sublimarlo in vari modi».
Emma ha detto "bravo papà" ed è stato come se per lei Mattia fosse presente.
«Non siamo credenti, i nostri figli non sono battezzati. La morte di Mattia e la sua malattia sono stati uno strumento, drammatico ma anche molto poetico, per farli avvicinare alla natura della vita e della morte. Abbiamo deciso di non mentire mai con loro. Mattia ha avuto un crollo negli ultimi sei mesi, ma per quattro anni aveva tenuto in modo straordinario: gliene avevano diagnosticati solo due di vita. È stato un essere sovrumano e loro sono i suoi figli. Hanno vissuto la morte del padre e il premio con una grande presenza. Ne parliamo tanto, vediamo i video, le foto, perché Mattia è talmente luminoso e solare anche adesso che loro lo sentono vivo. Mi aiuta, ora, il lavoro fatto con mio marito. Sono sola con i miei figli, ma quel che lui era risuona forte.
Emma alla cerimonia mi diceva "sento la mano di papà in testa"».
Mattia aveva anche una famiglia cinematografica.
«Mattia aveva pochi parenti, ma la comunità degli amici era estesa ed Emma ci è nata e cresciuta dentro.
Quando è entrata alla cerimonia dei David mia figlia cercava Paola (Cortellesi, ndr ) e Valerio (Mastandrea, ndr ) continuamente.
Lo sguardo di Valerio, quando hanno nominato Mattia, è stato come un abbraccio calorosissimo. Valerio per noi, e per Mattia, era un fratello.
Questa famiglia c’è ed è un terreno e un tetto fondamentale per me e i miei figli».
Come si vive con qualcuno che racconta la tua vita nei lavori ?
«Abbiamo litigato continuamente per questa cosa che ci metteva sullo schermo. Potete immaginare con
La linea verticale cosa sia successo nella nostra casa. Mattia non lo nascondeva e ridevamo molto. La donna del monologo Perfetta di Geppi Cucciari sono io, quel racconto lì nasce perché ha osservato me, che sono ostetrica.
Abbiamo sempre avuto un rapporto di scambio, intimità, conflitto. E un amore che ci ha portato abbracciati fino alla fine nel letto, con lui che andava via. Mattia pescava dalla vita, da quel che conosceva. Era capace di prendere una cosa piccola che lo faceva ridere e partire per un viaggio che diventava una sceneggiatura, uno spettacolo, un film. Scriveva per tre giorni come un pazzo, facendo un rumore infernale su quella tastiera anni Sessanta, poi mostrava il testo a una serie di persone, io, Valerio Aprea, sempre a Mastandrea. La persona più importante della vita creativa di Mattia era Lorenzo Mieli, per lui un fratello e nume tutelare della nostra famiglia. Alla fine La linea verticale è stata l’unica cosa che ci ha visti in conflitto, ho messo tempo a digerirla. La serie è straordinaria, ma quando ho visto certe mie parole sul copione l’ho mandato affanculo».
Poi l’ha compreso?
«Sì, perché è un artista, uno scrittore, l’amore della mia vita. E lo odiavo perché metteva nel suo lavoro qualcosa che per me era carne ustionata e riguardava me e i miei bambini. Ora sono felice che abbia realizzato quel racconto, sublimato la paura e l’ esperienza con l’arte.
Soprattutto è un patrimonio per i miei figli. La sera a volte la vediamo, io con il cuore rotto, i bambini con grande passione. È stato un modo per raccontare a Emma ciò che aveva vissuto a cinque anni. La serie, incentrata sulla malattia di mio marito, le ha dato modo di vedere oggettivata una parte della sua vita che non riuscivamo a verbalizzare, è stata una rappresentazione allegorica che la piccola ha potuto digerire con più facilità. E così anche Nico, che è cresciuto nella guerra della degenza di suo papà».
Oggi molte persone vogliono capire chi era Mattia. Come lo descrive a chi non lo ha conosciuto?
«Era un provocatore di felicità.
Andavamo a fare le Tac e sulla via del mare diceva "sì Frou, ma poi andiamo a prendere lo spaghetto con le vongole al mare col vino ghiacciato". Sapeva viversi i momenti con felicità, mai triste o arrabbiato o deluso per più di venti minuti. E condivideva tutto con gli amici, le cene, i pranzi, le feste con almeno settanta persone».
Sua figlia ha ringraziato le ostetriche e i medici "che non fanno volare via le persone".
« Figli parla di questo, e io sono l’ostetrica del film. Lei e Nico vivono con amore e odio il mio lavoro, i turni ospedalieri massacranti, e fanno una vita complicata. Ora che non c’è Mattia quando lavoro devono dormire dalla nonna. Ma quando torno gli racconto del mio lavoro meraviglioso».
"La linea verticale" si chiude con l’idea della vita un passo alla volta.
I passi sono stati belli?
«Sì. Uno per uno, anche quelli falsi e le cadute. Abbiamo avuto sempre lucidità e chiarezza, guardandoci negli occhi, senza mentirci. Con un gran senso di responsabilità l’uno per l’altra e per Emma e Nico: le gambe erano sempre salde e camminavamo insieme in ogni direzione».