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 2021  maggio 13 Giovedì calendario

Il mistero della suora che salvò Wojtyla

Un mistero avvolge ancora oggi l’attentato del 13 maggio 1981 in piazza San Pietro contro Giovanni Paolo II. Le cronache narrano che mentre Ali Agca sparava al Papa, al suo fianco vi fossero due religiose. La prima, suor Letizia Giudici, tuttora vivente, fu colei che bloccò fisicamente l’attentatore turco consegnandolo alla polizia e salvandolo dal linciaggio della folla.
La seconda, invece, non è mai stata rintracciata: «Non sono stata io ad abbassargli il braccio anche perché ero addirittura convinta che quel signore stesse scattando delle foto». Invece«nonavevainmanounamacchina fotografica ma una pistola», racconta non a caso suor Giudici al giornalista Antonio Preziosi che, in Il Papa doveva morire. La storia dell’attentato a Giovanni Paolo II (Edizioni San Paolo) in uscita in questi giorni torna su quanto accaduto quarant’anni fa, portando conferme alla visione che dei fatti si fece fin da subito il Papa polacco: «Nell’istante stesso in cui cadevo in piazza San Pietro – raccontò Karol Wojtyla ad André Frossard – ho avuto il vivo presentimento che mi sarei salvato». E ancora: «Questa certezza non mi ha mai lasciato, nemmeno nei momenti peggiori, sia dopo la prima operazione, sia durante la malattia virale. Una mano ha sparato, un’altra ha guidato la pallottola…».
Chi fosse questa seconda religiosa nessuno ancora oggi sa dirlo. Giovanni Paolo II non ne parlò mai, anche se fu sempre intimamente convinto che la salvezza gli fosse stata donata dal cielo. In sostanza, pensava, da un Dio che volle risparmiarlo per concedergli un lungo pontificato concluso nel 2005 dopo una dolorosa malattia.
Grazie a testimonianze inedite Preziosi ritorna su avvenimenti che ancora oggi non hanno spiegazione. Il Papa si salva nonostante la dinamica dell’attentato sembra non poter portare che alla morte: Wojtyla viene colpito, si accascia. Le fasi dei soccorsi sono concitate. L’ambulanza, senza scorta, imbocca per sbaglio una via in contromano ed evita per miracolo un incidente. La sala operatoria del Policlinico Gemelli destinata alle emergenze è chiusa, nonsi trova la chiave. Un medico riesce a spalancare la porta a spallate. Agca è sconvolto per aver fallito inspiegabilmente la sua missione. Dirà: «Ho sparato da quattro metri, non potevo sbagliare».
Per alcuni il salvataggio fu frutto dicoincidenze. Per Wojtylano. Legò subito l’attentato alle profezie delle apparizioni di Fatima. Scrive nella prefazione del libro monsignor Rino Fisichella: «Era stato proprio Giovanni Paolo II a voler imprimere a questo evento una lettura di questa intensità. Non avrebbe potuto essere diversamente».
E ancora, riferendosi a un successivo viaggio di Wojtyla a Fatima: «Una volta giunto alla Cappella dell’apparizione, il Papa aveva detto: “Non ci sono semplici coincidenze nei disegni della provvidenza”. L’attentato avveniva nel giorno della prima apparizione della Vergine a Fatima a Giacinta, Francesco e Lucia. Giovanni Paolo II doveva necessariamente andare oltre le coincidenze, perché nella sua vita tutto parlava di un piano divino che poco alla volta si costruiva».
Nelle giornate di degenza Wojtyla pensa e ripensa a quanto accadutogli. E riprende a studiare, a scrivere, a meditare. Prima di essere dimesso, il 3 giugno, dopo nemmeno venti giorni di ricovero, chiede al fedelissimo don Stanislao Dziwisz lumi e spiegazioni sul terzo segreto di Fatima. Apprende da lui che del manoscritto esiste solo l’originale, custodito nell’archivio riservato dell’ex Sant’Uffizio. Di ritorno in Vaticano cerca di dedicarsi alle occupazioni di tutti i giorni. Ma il fisico non lo aiuta. Deve essere ricoverato di nuovo. E subire un secondo intervento. Sono i primi giorni di agosto quando finalmente riesce a leggere il testo del terzo segreto. Vi si descrive la visione di un vescovo vestito di bianco che viene colpito e cade a terra. Wojtyla lega questa visione a quanto accadutogli. Tanto che una volta ripresosi, un anno dopo, decide di recarsi a Fatima per ringraziare e per affidare la sua vita.
L’allora cardinale Joseph Ratzinger seguì il viaggio da prefetto della Dottrina delle fede. Quando dovette commentare il contenuto del terzo segreto disse: il Papa «era stato molto vicino alla frontiera della morte ed egli stesso ha spiegato la sua salvezza con le seguenti parole: “Fu una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola e il Papa agonizzante si fermò sulla soglia della morte”. Che qui una “mano materna” abbia deviato la pallottola mortale, mostra solo ancora una volta che non esisteun destino immutabile, che fede e preghiera sono potenze, che possono influire nella storia e che alla fine la preghiera è più forte dei proiettili, la fede più potente delle divisioni». Furono parole importanti, quelle del futuro Benedetto XVI. Grazie ad esse, infatti, Wojtyla ottenne in qualche modo un’ulteriore «certificazione» dall’ex Sant’Uffizio e dal teologo che ne era alla guida del fatto che il 13 maggio 1981 egli fosse destinato «a morire», ma che – almeno così pensava lui – per effetto della preghiera e della misericordia divina, il suo destino era cambiato contro il volere degli stessi protagonisti dell’attentato.
Successivamente Wojtyla, dialogando con Indro Montanelli, definì quanto accadutogli un «garbuglio». Nella sua visione nell’attentato si sovrapposero, fino a diventare inestricabili, due piani: quello della realtà e quello mistico legato alla fede e per questo difficile da dimostrare. Oltre alla suora mai identificata, un altro fatto rimane insoluto. Ne parlò il chirurgo Francesco Crucitti, primario del Gemelli che operò Wojtyla. Disse che non riuscì a spiegarsi la strana traiettoria del proiettile che Agca sparò: «Un percorso a zig zag assolutamente inspiegabile». Il proiettile, disse, era entrato all’altezza dell’ombelico, sul lato sinistro, ed era uscito dalla zona sacrale. Pur trafiggendo il colon e l’intestino tenue bucandolo in cinque punti, la pallottola aveva come cambiato traiettoria davanti all’aorta centrale. Se l’avesse colpita, il Papa sarebbe morto sul colpo. Inoltre, il proiettile aveva appena scheggiato la spina dorsale, evitando di un nulla tutti i principali centri nervosi. Se fossero stati colpiti, il Papa sarebbe rimasto paralizzato. «Due giorni dopo l’attentato», dice invece oggi il cardinale Giovanni Battista Re, «ci si accorse che il dito indice della mano sinistra del Papa aveva subito un colpo, tanto che una falange rimase poi paralizzata. Un’ipotesi che venne in mente fu che la pallottola avesse sfiorato, per intervento superiore, il dito della mano del Papa, mentre stava salutando a braccia aperte. Quello sfioramento del dito deviò verso il basso la traiettoria della pallottola, che attraversò l’intestino senza colpire parti vitali e uscì, cadendo e rimanendo nella jeep».