Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  maggio 13 Giovedì calendario

Risolvere il conflitto israelo-palestinese con un meme

Questo non è un articolo su Israele e Palestina. Non solo perché è un tema al quale ero appassionatissima a vent’anni, ma a trenta avevo già deciso che avessero tutti torto (in mezzo c’erano stati Oslo, la seconda Intifada, e un paio di soggiorni giovanili da quelle parti, a quell’età alla quale pensi che interessarti ai drammi del mondo li risolverà).
Non solo perché, sul tema, da una ventina d’anni ho deciso d’attenermi alla dottrina di Pordy, più lucido di Bill Clinton e più sintetico di Henry Kissinger. Pordy insegnava nella scuola frequentata da Ellie Bartlet, figlia di Jed, che una sera a settimana, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio di questo secolo, era il presidente democratico degli Stati Uniti alla televisione. Nell’autunno 2002, Bartlet citava Pordy per tacitare sbrigativamente i suoi consiglieri a proposito di non ricordo più quale ennesimo rischio di bombardamento mediorientale.
«Ellie aveva un insegnante, il signor Pordy, che non aveva il minimo interesse per le sfumature e la complessità. Domandò alla classe come mai ci fossero sempre stati conflitti in Medio Oriente. Ellie alzò la mano e disse: è un conflitto religioso vecchio di secoli, c’entrano la terra e la diffidenza e la cultura e… Sbagliato, disse il signor Pordy. È perché è molto caldo e non c’è acqua».
Questo non è un articolo su Israele e Palestina perché, spero non siate così arretrati da non averlo notato, non serve più che qualcuno si sbatta a scrivere articoli sul tema: dopo aver risolto il problema dello stupro con un cancelletto, i nostri contemporanei hanno deciso che per la questione israelopalestinese il mezzo di comunicazione più adatto siano i meme.
Venerdì, mentre spiegavano a Natalia Aspesi che loro non possono risolvere tutti i problemi del mondo, e che se non si erano occupate della morta in fabbrica è perché i guai del mondo sono troppi per dare conto di tutti – per dirla con le loro parole: «Ci sono trecento topic al giorno, ce ne sarà sempre uno che una non ha trattato» – le mie cancellettiste preferite hanno iniziato a pubblicare storie Instagram su Israele e Palestina. Così, tra un’iva degli assorbenti e uno scandalo d’attrice trans doppiata da non trans.
Sono abbastanza certa che da qualche parte, in un sottoscala dell’internet al quale io non ho accesso, ci sia una guida quotidiana agli argomenti (nella lingua cancelletta: topic) che tirano, che prendono più cuoricini, che aumentano le visualizzazioni. Le morti in fabbrica non erano evidentemente mai entrate nella guida, ma Israele e Palestina, vai a sapere perché (sarà la fotogenia della kefiah, instagrammabilissima), sì.
Mi ero illusa che si trattasse solo di Diet Prada, ignorante esterofila che non sono altro. Diet Prada era un account Instagram che segnalava i plagi nel mondo della moda. Tutti quelli che partono avendo come compito principale lo svelare magagne poi fanno una fine meschina, ma non andiamo fuori tema. In Italia, Diet Prada (due milioni e settecentomila follower) è diventato famoso perché ha segnalato che, scandalo e raccapriccio, Gerry Scotti e Michelle Hunziker si erano tirati gli occhi imitando i cinesi. Cosa di cui nessun esponente italiano del club dei giusti s’era accorto, giacché il club dei giusti certo non guarda Striscia la notizia. Ma, una volta segnalato da Diet Prada, il fiacchissimo sketch è subito diventato gran scandalo internazionale.
Lunedì Diet Prada decide che il modo giusto per raccontare Israele e Palestina è un meme, cioè quei disegnetti che hanno grande potenziale di diffusione e contenuti grandemente semplificati. In questo caso il meme era una sfilza (in cancellettese: gallery) di disegni (in cancellettese: slide) sempre uguali, due donne parlano, e una non sa niente e l’altra le spiega (gazasplaining). La versione di Diet Prada è che Israele sia l’oppressore e la religione non c’entri niente, ma questo non è rilevante. (Peraltro: certo che non c’entra niente, è che fa molto caldo e non c’è acqua).
Quello che mi aveva colpito era la riduzione a meme d’una guerra di secoli. Quando ero piccola io, nel Novecento, esistevano i Bignami, libretti di poche pagine contenenti riduzioni all’osso di materie scolastiche che non avevamo voglia di studiare per intero.
All’epoca chi si accontentava del Bignami veniva trattato come un somaro che non avrebbe mai combinato nulla nella vita, ma è bastato sedersi sulla riva del fiume e aspettare pochi decenni, ed ecco che noi del Bignami siamo diventati dei completisti. In confronto ai consumatori di meme, siamo gente che Kant l’ha letto in tedesco.
Mi ero persa i Diet Prada minori, quelli locali. Ma come, non hai visto Tizio, mi dice ieri un’amica. Tizio è un influencer pugliese da trecentomila follower, a me colpevolmente ignoto. L’altroieri ha scoperto che esistono Israele e la Palestina, e ha deciso di spiegarceli. Mica con un meme: con un video di sette minuti con sfondo rosa e palme, tipo dentista di Miami. «Lo dico senza alcuna vergogna, non ero preparato, perché la storia è molto complessa. Ho cercato di informarmi ed è davvero complicata». Lo premette mentre gli vibrano le sopracciglia perfettamente disegnate, ma prosegue spavaldo sebbene tremebondo, perché quando ti dai il compito di fare all’Instagram il Bignami di secoli di storia mica puoi farti fermare dalle lacune.
«Arriva poi l’Olocausto, con le conseguenze che noi tutti conosciamo e sappiamo, ahimé, ahinoi, nei confronti della comunità ebraica»: è a questo punto che tutta l’empatia che dovrei a israeliani e palestinesi e alla vita di merda che fanno la devolvo a Tizio, che sente di dover articolare degli incisi per dire che l’Olocausto fu una cosa brutta brutta brutta.
È a questo punto che capisco che c’è una ragione se Tizio ha trecentomila follower, ed è che ribadire l’ovvio è l’unico modo per risultare popolari oggidì: premesso che lo stupro è una brutta cosa, premesso che l’Olocausto non mi piace, premesso che non bisogna picchiare i bambini, investire le vecchiette, bollire gli animali domestici.
Premesso che israeliani e palestinesi hanno molto caldo e forse neanche una bottiglia di Perrier sul video della quale taggare lo sponsor.