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 2021  maggio 12 Mercoledì calendario

La mafia è atea

Suscita sorpresa, soprattutto in ambienti “laici”, la proclamazione a beato di un magistrato considerato integro, il giudice Rosario Livatino, ucciso giovanissimo proprio per la sua integrità, e la sorpresa nei lettori deriva dal fatto che rettitudine nell’esercizio della giustizia e applicazione della fede sono sentite come appartenenti a due piani separati. In realtà non è così. La pratica dell’iniquità sociale, cosciente e voluta, programmata, sta nella sfera dell’ateismo, è coerente con l’ateismo: è figlia del culto del proprio interesse, del “tutto è permesso”, e come diceva Dostoevskj perché tutto sia permesso è necessario che Dio non ci sia.
Le associazioni della criminalità organizzata hanno vari nomi, che dipendono anche dai territori dove nascono, ma sono tutte figlie dell’ateismo, e non importa se alcune fanno uso di simboli o riti religiosi: questi sono soltanto una copertura. Quando adottano come rito la processione di un santo che vien portato davanti all’abitazione di un boss della mafia o della camorra, e qui la statua del santo viene inchinata in segno di rispetto, quel rito indica che anche il fedele deve manifestare sottomissione all’organizzazione mafiosa, non viceversa. Indica che il potere malavitoso vale più della fede e la condiziona. Lì comanda la mafia e la fede “deve” prenderne atto. E questo è ateismo.
So di addentrarmi in un terreno insidioso, e di dire cose sulle quali qualche lettore può dissentire: ma che il potere delle associazioni criminose sia percepito come più
forte di tutto è possibile solo se non c’è più il senso del diritto e del vero bene, perché l’uomo è alla mercé della miseria. L’uomo piegato dalla miseria è preda del primo potere che gli piomba addosso, e il potere più vicino è l’associazione criminale. Diciamo sempre che la predisposizione alla mafia (alla mafiosità) si combatte con l’educazione, e che istruendo i bambini con un buon senso civico crei un ambiente nel quale la mafiosità non può radicarsi. Dunque l’arma contro la criminalità è la scuola.
È vero, la scuola crea l’uomo di domani. Ma quell’uomo deve lavorare, la criminalità nasce dove c’è miseria oggi e paura della miseria domani, la criminalità è figlia della mancanza di futuro. La criminalità è la soluzione sbagliata di chi non vede altre soluzioni. È una resa allo status quo. Se lo status quo è mafioso, la criminalità è la perpetuazione della mafia. Perché nell’ambiente sia diffusa la mafiosità, occorre che sia diffuso l’ateismo: il giudice Livatino presentò se stesso, uomo e magistrato, come un ostacolo a questa diffusione, un “uomo nuovo” per la società nella quale agiva, e da “uomo nuovo” vide reati che la società non vedeva più, per esempio i reati contro la Natura, i cosiddetti ecoreati, e li perseguì. E intese l’inchino dei santi davanti alle case dei boss come una bestemmia. Il succo della sua vita sta nello slogan: mafia e Vangelo son due opposti. Ora si riconosce che ha percorso una tappa nel cammino della santità, è giusto, ma è giusto anche riconoscere che quella tappa appartiene semplicemente alla pratica della giustizia. E cioè: ogni magistrato dovrebb’essere così.