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 2021  maggio 12 Mercoledì calendario

Aver nostalgia di Marco Minniti

Lo scrivo senza giri di parole, senza ammiccamenti o seconde o terze intenzioni: Marco Minniti mi manca e, secondo me, manca alla politica italiana. Sarà perché ho avuto la fortuna di collaborare con lui alla presidenza del consiglio e al ministero della difesa, sarà perché ricordo un’intesa aperta e fattiva, ma considero Minniti uno dei rarissimi politici dotati di un pragmatismo strutturato, nel senso che non comportava la rinuncia ai principi cui aveva aderito sin da giovane ma, invece, imponeva la valutazione della realtà, politica, sociale, istituzionale. Questo significava adeguarsi alle condizioni con le quali ci si trovava a fare i conti.
E mi è venuto in mente lui, benché abbia abbandonato la vita politica per dedicarsi a una Fondazione che si occupa di relazioni internazionali (e, perciò, di difesa: il ministro della difesa italiano è una specie di ministro degli esteri, dotato di una certa forza, derivante dall’essere a capo delle forze armate -salvo il ruolo del presidente della Repubblica), e, soprattutto, sia stato abbandonato dal suo partito che ha mostrato di non essere interessato al suo prezioso contributo, proprio in questi giorni di ripresa del traffico di migranti sul quadrante italiano.
Un grande giornale ieri titolava (più o meno): sono in 70 mila coloro che sono in attesa, in Libia, di essere portati in Italia, la ministra Luciana Lamorgese chiama l’Europa. E in questo titolo c’è tutta l’incapacità italiana di rendersi conto dei termini del problema, tra un Pd nelle mani di un umanitarismo senza riscontri e senza progetti, e una Lega che richiama il rispetto dei precetti costituzionali in materia di difesa della Patria.
La verità, su questo annoso problema, è solo una: siamo la meta preferenziale del traffico di migranti, un business lucroso, nel quale prosperano da un lato i trafficanti arabi (e non solo) e dall’altro alcune ong, che, piazzate in mezzo al Mediterraneo, traggono dal soccorso ai migranti sostanziosi contributi dall’area delle generosità diffuse nel pianeta. E, come se non fossimo uno stato nazionale, dotato dei poteri di difesa e di controllo delle frontiere, andiamo a lamentarci a Bruxelles per chiedere un aiuto che non consiste, come si potrebbe supporre nel mettere un argine alle migrazioni, ma nel chiedere la redistribuzione tra gli stati europei dei migranti illegali, che non hanno alcun titolo per insediarsi in territorio italiano (cioè europeo), ma che in esso sono ammessi per le falle del sistema e, soprattutto, per un malinteso senso di solidarietà.
Nessuno ricorda, serenamente, che proprio ora, alle prese con un flesso dei contagi da Covid-19 che vorremmo che diventasse definitivo l’arrivo di 70 mila stranieri comporta, di per sé la quarantena per tutti loro: abbiamo le necessarie capacità di alloggio quarantenale per tanta gente? E se non l’abbiamo come non l’abbiamo, possiamo farli sbarcare e correre il concreto rischio di impestare la popolazione italiana, in via di uscita dall’incubo del Covid? Qualcuno ricorda che bastò qualche centinaio di anziani nella balera di Codogno per far partire la pandemia italiana, prima in Lombardia e in pochissimi giorni a Piacenza, a Parma e in tutta l’Emilia-Romagn?. Cosa può significare in termini di salute pubblica un solo, uno solo, immigrato affetto da variante sudafricana in giro per una qualsiasi città, in cui ci sia un centro di accoglienza?
Ricordiamo o no che l’autorità giudiziaria (in coerenza con il dettato costituzionale) impedisce il fermo di chiunque per ragioni amministrative e, quindi, non c’è nessuno in Italia che possa imporre un soggiorno obbligato in un centro di accoglienza o in un centro di quarantena? Ministro dell’interno della Repubblica italiana, Minniti aveva fatto up and down tra Roma, Tripoli e i capoluoghi tribali stringendo accordi con tutte le autorità diffuse sul territorio libico per evitare il sostegno ai migranti e, possibilmente, ottenere il loro respingimento nei luoghi di provenienza. Sappiamo tutti che non c’è per nessuno il diritto di abbandonare il proprio paese per recarsi in un altro. Un solo motivo è ammesso: la persecuzione da parte di un regime tirannico. Certo la fame è un tiranno feroce, ma nessuno può considerarla (almeno secondo il diritto internazionale vigente) ragione legittima per andarsene in un altro paese, che non vuole riceverlo e che non ha un’occupazione legale da offrire.
Ora, non bisogna essere antieuropeisti per immaginare che l’Europa non potrà dare sostegno alla nostra ipocrisia: quella del buonismo che non vuole ostacolare l’arrivo di tanta gente in Italia (una sorta di trasferimento dagli slum africani agli slum italiani, al traffico di droga o all’occupazione nel crimine), e che, allo stesso tempo, pretenderebbe che altri si facessero carico di un lassismo contrario alla legge.
L’abbiamo scritto più volte, la situazione si ribalta ad alcune condizioni: la prima sarebbe bene far sapere in Africa che intraprendere il viaggio nel Mediterraneo non solo è rischioso, ma inutile, perché le possibilità di accoglienza sono uguali a zero; che l’Europa non è l’Eldorado e che, anzi, è terra di problemi irrisolti; che per il momento non c’è occupazione per nessuno nemmeno per centinaia di migliaia di europei. E che, in positivo, noi italiani e noi europei diamo il via a investimenti ad alto contenuto occupazionale nei paesi di emigrazione. E che se i loro governanti rubano i quattrini di questi investimenti, il problema è loro: vivaddio due secoli fa e oltre in Europa abbiamo avuto la rivoluzione (francese). Non è detto sempre che i despoti possano governare indisturbati a dispetto dei popoli.
E che, infine, noi italiani, noi europei possiamo accogliere migranti solo in numero corrispondente ai posti di lavoro liberi e previa una istruttoria nei consolati europei all’estero. E che, sull’attività di questi consolati, ci sarà un feroce controllo per impedire le devianze accadute in passato. Ricordiamoci che il medico pietoso, che non adotta le terapie radicali che servono, uccide il malato. Ecco perché il governo sbaglia.
La fermezza si impone e, con essa, un’autorevole interlocuzione con le autorità libiche, che debbono essere affrontate con in mano il portafoglio. Quello che incombe non può né deve accadere. Minniti affermò, a suo tempo, che quello dell’immigrazione era un problema che investiva l’ordine costituzionale dell’Italia. Lo è ancora. Regolatevi.