La Gazzetta dello Sport, 12 maggio 2021
L’addio di Buffon alla Juventus
Lo ha già fatto, ma a certe cose non ci si abitua. Ha preparato tutti da un po’, ma per certe cose non si è mai davvero pronti. Il secondo addio non è più facile del primo, perché il legame si era riannodato forte come sempre. Il secondo addio lascia qualche rimpianto, sottotraccia, e un po’ di amarezza che affiora appena in superficie, fra le varie frasi di amore e riconoscenza. «Siamo arrivati alla fine di un ciclo ed è giusto che uno tolga il disturbo», dice Gigi Buffon nell’intervista a beIN Sports in cui rende ufficiale quella decisione che era nell’aria da un po’ e trapelata a varie riprese. Questo finale di stagione, complesso, sofferto, non troppo felice sarà la fine del suo «secondo tempo alla Juventus, perché credo di aver dato tutto a questo club e di aver ricevuto tutto, e di più non si può fare». Il portiere dà l’annuncio alla vigilia della partita col Sassuolo (che lo vedrà titolare) e quando è ancora fresca la sconfitta con il Milan, vissuta in modo intenso in panchina. Le telecamere lo hanno cercato spesso, nei 90’ contro i rossoneri, catturando le sue espressioni di delusione per il vantaggio milanista (con Szczesny non impeccabile), la sua gioia e i suoi incitamenti per il “titolare” polacco dopo il rigore parato, lo sconforto quando il Milan ha dilagato. Osservatore partecipe, ma osservatore. Così si è sentito spesso, in stagione, Gigi. Questo il motivo, ancora più della carta d’identità, per cui ha deciso di dire addio, una seconda volta, alla Juventus. Al club, non al calcio.
Voleva di più
Perché il 43enne Buffon si sente ancora giocatore. Sente ancora il “fuoco” dentro, avrebbe voglia di dimostrare con più costanza e più possibilità di essere sempre in grado di fare la differenza. Avrebbe voluto farlo di più in questa seconda annata alla Juve, che invece alla fine probabilmente si chiuderà con le stesse presenze dell’anno scorso, o forse una in meno (ora siamo a 12 contro 15). Con Sarri il rapporto era buono, non fu tra quelli a non aver legato con l’ex-Napoli. Con Pirlo era partito sotto i migliori auspici, in virtù di una lunga amicizia cresciuta a Torino e Coverciano. Ma poi il feeling, con i nuovi ruoli, non è mai davvero stato ritrovato: Buffon avrebbe voluto giocare qualche partita in più, e soprattutto qualche partita “pesante” in più, specie dopo la vittoria sul Barcellona. E poi avrebbe voluto sentirsi più coinvolto, all’interno dello spogliatoio. Non è stato così, nonostante sia ormai chiaro che ce ne sarebbe stato bisogno.
Decisione sofferta
E allora ecco che spunta quel «togliere il disturbo» nelle spiegazioni dell’addio, che si riallaccia al «Io e Gigi non saremo mai un problema per la Juventus» di Chiellini, qualche settimana fa. Il resto è orgoglio, per 19 stagioni e 20 trofei, il resto è anche sofferenza: «Una decisione presa, maturata e comunicata già da mesi – ha aggiunto poi sui social -. Ma non una decisione facile. Perché non è facile tagliare questo cordone, qua dove c’è la mia storia, la mia gioia, le mie lacrime, la mia casa. Ma so che quel momento è arrivato. Non esiste un grazie grande abbastanza».
Fine di un’era
Ringraziamenti che sono iniziati ad arrivare dai tifosi bianconeri di ogni latitudine. L’abbraccio per il primo addio, allo Stadium, fu collettivo, sentito, avvolgente. In questo 2021 non sarà possibile avere il bis: stadi vuoti (o quasi) accoglieranno le sue ultime presenze in bianconero, compresa quella, che appare scontata, in finale di coppa Italia. Chiudere con un trofeo renderebbe il “taglio” un po’ meno doloroso, per ritrovare i tifosi ci saranno forse altre occasioni: «O smetto col calcio o, se trovo una situazione che mi dà stimoli per giocare o fare un’esperienza di vita diversa la prendo in considerazione». Intanto si chiude un’era. Ha debuttato in bianconero con Nedved, oggi vicepresidente, quando Kulusevski imparava a camminare. C’erano la lira, Gianni Agnelli e le torri gemelle. Quando ha cominciato, soprattutto, la Juve aveva undici scudetti e un portiere leggendario in meno.