Corriere della Sera, 11 maggio 2021
Mara Venier e l’Alzheimer della mamma
Mara Venier, com’è stata la prima volta in cui la mamma non l’ha riconosciuta?
«Lo ricordo come fosse oggi. Io lavoravo, andavo a trovarla a Mestre il sabato, arrivando trafelata. Era un giorno bellissimo di maggio. La trovo in giardino in carrozzella, con un cappello di paglia, gli occhiali da sole: sembrava una diva degli anni Quaranta. Arrivo, le strillo, in veneto: “Ciao mammina! Come te sta’?”. Ha tirato su gli occhiali, ma lo sguardo era assente. Mi dice: buongiorno, signora. Una parte di me se n’è andata. Ho iniziato a cantare le sue canzoni preferite. Cantavo “per la tua piccolina non compri mai i balocchi”. E lei rispondeva: “Mamma, tu compri soltanto i profumi per te”. Per tre anni, le canzoni saranno l’unico modo per comunicare: io iniziavo una strofa, lei la finiva».
In «Mamma ti ricordi di me?», la biografia appena uscita per Rai-Libri, scritta con Sabina Donadio, dice: ero una figlia disperata, terrorizzata, impaurita.
«Quando conducevo la Vita in diretta, la salutavo sempre con un “ciao mammina”. Era un modo per dirle: ci sono, sto qua. Si era rotta il femore, poi aveva quasi perso la vista, aveva avuto un’ischemia ed era sempre più distratta. Una volta si era persa per strada, sotto la casetta dei ferrovieri in cui viveva da 60 anni. Per quei saluti ricevetti una lettera di richiamo dal Dg della Rai Lorenza Lei, per uso personalistico della tv. Al direttore Mauro Mazza, spiegai che mamma aveva una demenza senile: la parola Alzheimer non riuscivo a pronunciarla. Mazza mi rispose: continua a salutarla».
Quali erano stati i primi segnali della malattia?
«Le fecero una Tac dopo una caduta e il professore notò dei neuroni che si stavano spegnendo. Io non capii, non ci volli pensare, anche perché mamma si era ripresa. Sette anni dopo, ho dovuto ricordarmene: mamma dimenticava dove metteva le cose, mi chiedeva dieci volte la stessa cosa. Volevo portarla a Roma, ma lei voleva stare nella casa dov’era stata felice con papà. Da quando è mancata, non sono mai tornata a Venezia, provo troppo dolore».
Non era preparata, nonostante i tre anni di malattia?
«Una figlia non lo è mai. Gli ultimi anni li ha fatti in una residenza per anziani, alla fine pesava 18 chili. Quella mattina del 2015 arrivo e comincio a cantare “ohi vita ohi vita mia”. Poi arriva il dottore che mi aveva asciugato le lacrime in quei mesi e dice: Mara, è finita. L’ho preso per il camice, urlando: adesso mi devi fare una puntura, devo andare da lei. Mi hanno dato dei calmanti. Avevo preso dei farmaci già prima: in tv sorridevo, ma ero depressa, piangevo appena stavo da sola».
Com’era la sua mamma?
«Bella e fiera di me. Diceva a tutti: io so’ la mamma di Mara Venier. Mi ha lasciato libera, non mi ha mai giudicata. A 17 anni rimasi incinta, mi sposai e non mi fece pesare lo scandalo. Da come rispondevo al telefono, sapeva se ero triste o felice. Tutto quello che ho fatto nella vita l’ho fatto per lei. Mi ha insegnato dignità e lavoro. Faceva la sarta, io a 8 anni già aiutavo una parrucchiera. Ero bravina».
Era anche bella e cominciò a frequentare la buona gioventù di Venezia.
«Da bambina no, ero nera nera e secca secca. A 15 anni, sbocciai senza accorgermene, iniziai a fare la modella di campionari».
E conquistò un principe.
«Era Sebastien von Fürstenberg, ma non piaceva a papà. Una volta chiama la sera tardi e papà risponde: principe, vada a quel paese! Siamo ancora amici, quando m’innamorai di Francesco Ferracini, bello ma senz’arte né parte, mi disse: ti rovinerai la vita».
E se la rovinò?
«Alla fine, fu la mia fortuna. Ci sposammo, lui andò a Roma a fare un film, io rimasi a Mestre. Dopo un anno e mezzo, vado a cercarlo. Viene a prendermi in Rolls Royce con Roberto Capucci, poi mi lascia a dormire sul divano di un amico. Ma Roberto si muove a compassione, mi prende a lavorare come modella. E fu accompagnando Francesco a un provino che mi presero come protagonista del film Diario di un italiano. Mamma non è mai voluta venire a Roma, ma nella mia vita c’è sempre stata. Ha subito amato mio marito Nicola, questo libro lo devo a lui».
Che c’entra suo marito Nicola Carraro col libro?
«Mi ha spinto a scrivere per affrontare il mio dolore e aiutare chi vive lo stesso dramma. Nella residenza di mamma, ho visto persone ammalatesi anche a 50 anni. Roberta ne aveva 53: sono diventata amica di suo marito Carlo, abbiamo pianto abbracciandoci. Davanti al dolore, non esiste più il personaggio della tv, siamo tutti uguali».
Farà la tredicesima «Domenica In», ora, è felice?
«Sono tornata a sorridere. Prima sembravo allegra ma ero triste. Mi ha guarito la nascita di mio nipote Claudietto: un dono del cielo, penso che me l’ha mandato mamma».