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 2021  maggio 11 Martedì calendario

Joseph Beuys, a un secolo dalla nascita

“Ogni uomo è un artista”, un’opera d’arte: per questo indossava sempre un cappello. Sguardo scavato e tormentato, di chi ha vissuto mille vite in una; occhi febbrili e magnetici. Il fardello del lunghissimo dopoguerra in un corpo e in una mente soli. C’è questo video su YouTube, del 1982, in cui lo vediamo persino cantare un orecchiabile brano pop, Sonne statt Reagan: è un’invettiva contro la politica guerrafondaia del leader americano di allora, ma l’aria generale sembra gioconda, anche se a intonarla pare essere stato precettato il cugino dannato del Falco di Der Kommissar. Decenni dopo la sua abiurata adesione alla Hitler-Jugend, la Gioventù hitleriana.
Domani ricorre un secolo esatto dalla nascita di Joseph Beuys, tra i più influenti e imprendibili artisti del secondo Novecento, concettuali tout-court. Per alcuni “un architetto universale”, o una sorta di redivivo Leonardo grazie all’approccio a 360 gradi, il Tedesco è stato, in ordine sparso, uno sciamano dell’arte contemporanea, un performer tra i più osannati, un ambientalista ante litteram (tra i fondatori dei Verdi in Germania) e il creatore della scultura sociale (soziale plastik, l’arte in grado di trasformare la società).
Anticonformista, crociato delle diversità, alla spasmodica ricerca di un compromesso idilliaco tra la natura e l’uomo, Beuys ha trascorso in Italia i suoi ultimi quindici anni. Ospite di una coppia di nobili e mecenati di Bolognano, un piccolo paese abruzzese, dove ha realizzato nei primissimi anni Ottanta la Piantagione Paradise (settemila piante per il ripristino della biodiversità) e la programmatica Difesa della natura, un manifesto artistico-botanico in difesa della creatività, dell’ambiente e dei valori umani. Del resto “la rivoluzione siamo noi”, ha dichiarato. E di certo non è mai stata placida e prevedibile la sua esistenza, ma vorticosa, bruciante, totalizzante. Para-dannunziana, verrebbe da sintetizzare con blasfemia.
Beuys era nato nel 1921: dopo la sbandata nazi-giovanile suddetta, partecipò alla Seconda guerra mondiale nell’aviazione e nel marzo del 1944 sopravvisse, per miracolo, a un incidente aereo. Il pilota spirò sul colpo, lui si salvò, e sarebbe stato ritrovato il giorno seguente da un gruppo di nomadi tartari che lo curarono amorevolmente con le pratiche della loro tradizione medica.
Per buona parte degli anni Cinquanta cercò di rimuovere i detriti psicologici della tragedia alle spalle, che aveva attraversato in volo, come in trance, sonnambulo. La scoperta dell’antroposofia di Steiner, la cattedra di scultura monumentale a Düsseldorf, la partecipazione agli eventi europei del movimento Fluxus. Nel 1964 la prima di una fitta serie di Azioni: si presentò al pubblico arrotolato, per otto ore consecutive, in un panno di feltro nero. O quella volta, a New York, che per girare un video rimase chiuso in gabbia con un coyote.
Il Nostro continuava a riflettere sulla banalità del male perpetrato dalla sua generazione, anelando una redenzione impossibile. Si accentuò, forse per questo, il suo impegno politico: nel 1967 lanciò il partito studentesco tedesco (Deutsche Studentenpartei), contrario alla pseudo-democrazia dei partiti occidentali. E nel 1972 il suo arrivo nella nostra penisola. L’incontro col “rivale” Andy Warhol e la collisione di estetiche e filosofie espressive con Alberto Burri. L’esperienza a Napoli nel post-sisma in Irpinia dell’80, quando rispose alla chiamata del gallerista Lucio Amelio sfornando Terremoto in Palazzo, una installazione di tavoli diroccati da lavoro rinvenuti nelle zone dell’epicentro, con l’aggiunta di pezzi di vetro e cocci: brilla adesso nella collezione permanente della Reggia di Caserta.
Nel 1982, rientrato in patria, consegnò ai posteri uno dei suoi testamenti supremi:7000 querce, un mega-triangolo dinanzi al Museo Federiciano composto da settemila pietre di basalto, ognuna adottabile. Il ricavato sarebbe servito a disseminare querce, una per pietra. Si stima che occorreranno ancora circa trecento anni prima che il bosco prefigurato da Beuys prenda definitivamente forma. Peccato che “tutto dipenda dal carattere termico del pensiero”, ha affermato in un’altra occasione l’artista, a cui nei prossimi giorni saranno consacrati alcuni appuntamenti celebrativi anche dalle nostre parti. Ne segnaliamo tre: l’apertura, domani pomeriggio a Bolognano, nella tenuta di Lucrezia de Domizio Durini, del Paradise Museum Joseph Beuys, progettato da Maurizio De Caro; la mostra Beuys e Napoli, che inaugura oggi a Casa Morra, nel capoluogo campano; e, sempre da oggi e fino al 15, al Teatro Out Off di Milano, cinque serate in live streaming con protagonisti, tra i tanti, Michelangelo Pistoletto, Alessandro Bergonzoni e Stefano Boeri.
Quasi dimenticavamo: Joseph Beuys ha abbandonato le spoglie terrestri il 23 gennaio del 1986, nel suo studio di Düsseldorf. Le sue ceneri sono state disperse al largo Helgoland nel Mare del Nord. Ma una volta ha preconizzato: “La morte mi sveglia”.