il Fatto Quotidiano, 10 maggio 2021
La carenza di materie prime sta affossando la produzione nell’Ue
“La carenza di materiale è arrivata al punto che, se evadi un ordine oggi, le acciaierie non consegnano prima di dicembre e comunque a quantitativi dimezzati rispetto alle reali necessità. È una situazione drammatica che non mi fa dormire la notte”. Le parole di Giorgio, imprenditore nel settore della siderurgia del nord Italia, riflettono in maniera molto efficace l’aria che si respira tra gli operatori nel settore dell’industria. Sono pochissimi i comparti manifatturieri che in questi ultimi mesi non risentono infatti della crescente scarsità di materie prime e componentistica.
Il caso più emblematico arriva da un peso massimo della filiera, come Stellantis, che due settimane fa ha annunciato il fermo produttivo dell’impianto di Melfi a causa della difficoltà nel reperire semiconduttori. Risultato: nel primo trimestre dell’anno il gruppo automobilistico ha prodotto 190 mila vetture in meno rispetto al previsto. “A causa della carenza di acciaio e resine abbiamo un arretrato ordini del 30 per cento”, spiega il top manager di una multinazionale specializzata nel comparto dell’elettrodomestico. Il problema non è solo italiano, sia chiaro: i dati macroeconomici relativi ai primi tre mesi dell’anno hanno mostrato in Germania un crescente divario tra ordinativi (+7,4 per cento rispetto al livello pre-pandemia) e produzione (ancora sotto del 3,2 per cento). Una situazione, questa, sempre più drammatica che rischia di danneggiare le prospettive di crescita, come quella italiana, stimata al +4,5 per cento dai maggiori istituti di ricerca internazionali. L’assurdità del fenomeno a cui si sta assistendo è data proprio dalla forte accelerazione dei consumi a fronte di una catena di fornitura che non riesce a stare al passo.
Della gravità della situazione inizia a esserne consapevole anche il governo tanto che il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, la scorsa settimana ha affermato come la crisi delle materie prime “è una questione molto seria, che deve essere gestita non a livello nazionale ma europeo, dove è stata presa qualche decisione in ritardo e sbagliata”. Giorgetti ha ricordato che uno dei fattori all’origine della crisi è la Cina che, uscendo prima dalla crisi, ha fatto “incetta di materie prime per rimettere in moto la propria economia, e i Paesi che ne sono usciti dopo non le hanno trovate”. A livello europeo sul tema delle materie prime, spiega Giorgetti, “stiamo subendo, non siamo mai in attacco ma giochiamo in difesa. E questo è un problema enorme”.
Cina ed Europa sembrano dunque essere i punti cardine dell’analisi del ministro. È indubbio che l’attuale condizione di deficit sul mercato delle commodites non esisterebbe se la Cina non avesse radicalmente mutato l’impostazione di politica industriale non più basata sull’export a basso costo ma sullo sviluppo dell’economia interna e del processo di elettrificazione al fine di contenere le emissioni di carbonio. Il caso più eclatante proviene dal rame il cui prezzo è passato dai 4.310 dollarit del marzo 2020 agli attuali 10.200/t, superando il record storico assoluto raggiunto nel febbraio 2011, proprio a causa dell’assorbimento di oltre 4 milioni di tonnellate nel 2020 da parte del Dragone.
Sul fronte del mercato siderurgico a fine aprile Pechino ha alzato dazi export e ridotto quelli su import di acciaio nell’obiettivo di ridurre la produzione locale e dare il via al piano di riduzione delle emissioni di carbonio. Una dinamica, questa, che contribuirà a rendere ancora più teso il mercato europeo che capirà presto lo scotto in termini inflazionistici di aver ciecamente abbracciato il modello ‘green’ senza conoscerne gli effetti collaterali. Non solo sul piano delle crescenti pressioni inflazionistiche ma anche su quello occupazionale: a tal proposito secondo l’istituto di ricerca tedesco IFO, l’elettrificazione nel comparto auto potrebbe mettere a rischio più di 100 mila posti di lavoro in Germania. Il mercato siderurgico europeo inoltre rischia di finire vittima della crescente competizione geostrategica tra Usa e Cina. La decisione di Pechino di sospendere a tempo indeterminato il meccanismo bilaterale che ha gestito finora il dialogo economico con l’Australia (principale fornitore di materie prime) ha spinto il prezzo del minerale di ferro sui massimi storici mai raggiunti.
Sul fronte europeo è possibile che il riferimento di Giorgetti sia invece rivolto all’attuale esistenza di misure di salvaguardia che impediscono di fatto alle importazioni di acciaio di allentare la morsa della carenza di materiale. E che, stando alle indiscrezioni, dovrebbero essere estese quando scadranno a fine giugno. Effettivamente le misure di salvaguardia hanno notevolmente contribuito ad alimentare la carenza di acciaio nel mercato italiano se pensiamo che dal 2018 (anno in vennero istituite) a oggi le importazioni europeo sono passate da 30, 2 milioni di tonnellate a 20,3 milioni di tonnellate. Nel complesso la disponibilità totale di acciaio nel mercato europeo dovrebbe veleggiare quest’anno intorno ai 140 milioni di tonnellate, (ma un reale dato sulle capacità non corrisponde all’ effettiva produzione che è controllata da un oligopolio) considerando un previsionale di aumento delle produzioni del 7 per cento a fronte tuttavia di consumi che, secondo la World Steel Association, veleggeranno intorno ai 155 milioni di tonnellate. Ciò si tradurrà nella carenza di acciaio nel mercato europeo di almeno15 milioni di tonnellate che rischia di acuirsi negli anni a venire sia in previsione dell’aumento dei consumi europei (grazie all’implementazione dei piani legati al Recovery Fund e al provvedimento sul credito di imposta 4.0 che incentiverà la ripresa degli investimenti industriali).
In un bailamme del genere sarebbe da ingenui pensare che la finanza non cerchi di approfittarne, sostenuta dalla politica monetaria della Federal Reserve che promette di rimanere espansiva malgrado i crescenti rischi inflazionistici: secondo le rilevazioni di Lipper, i flussi finanziari nel comparto delle materie prime hanno registrato un record storico di 7,9 miliardi di dollari.