il Fatto Quotidiano, 10 maggio 2021
Ecco perché la riconversione green fallirà
Come ci viene ripetuto allo sfinimento l’Unione europea intende raggiungere la “neutralità climatica” entro il 2050 e ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 55% entro il 2030. Almeno il 37% degli investimenti dei piani nazionali nell’ambito del Next Generation EU dovranno essere convogliati verso questo obiettivo. È piuttosto inquietante però che, tra pannelli solari, idrogeno blu o verde, automobili elettriche, cappotto termico, tassazione del carbonio, si perda di vista un obiettivo chiave per ogni sistema energetico: garantire che ogni cittadino, che abiti nelle metropoli o nel paesino più sperduto, che guidi una Lamborghini o sbarchi il lunario grazie al reddito di cittadinanza, possa garantirsi una modica quantità di energia a prezzi molto bassi. E qui tralasciamo la questione, forse ancor più importante, che il sistema energetico dovrebbe anche consentire ad interi popoli e nazioni, che ad oggi ne sono sprovvisti, di disporre di infrastrutture energetiche di base.
Questo silenzio è inquietante non solo perché la “povertà energetica”, secondo la Commissione europea, riguardava 30 milioni di cittadini europei nel 2018, con una tendenza in aumento. È inquietante perché abbiamo a che fare con un clamoroso “fallimento del mercato” al quale, comunque, continuiamo ciecamente ad affidarci. L’introduzione di leggi sulla concorrenza e sulle liberalizzazioni a partire dagli anni ’90 in Europa e negli Stati Uniti è avvenuta nella convinzione che i cittadini avrebbero beneficiato dell’abolizione dei monopoli pubblici nel settore energetico grazie a servizi più efficienti e prezzi più bassi.
I fatti hanno dimostrano il contrario. Nell’Ue, nel decennio successivo al 2009, i prezzi dell’elettricità sono aumentati del 32%, molto sopra la media dell’inflazione, e i prezzi del metano del 17,3%, comunque sopra l’inflazione (in Italia la crescita è stata superiore alla media europea). A beneficiare delle liberalizzazioni sono dunque stati gli azionisti delle grandi aziende, oramai quotate in borsa. Dall’altra parte dell’Atlantico è avvenuto lo stesso fenomeno. I consumatori che hanno scelto il “mercato libero” hanno pagato, sempre nel decennio dal 2009, 19,2 miliardi di dollari in più che se si fossero tenuti i fornitori tradizionali. La recente e clamorosa vicenda del Texas, uno dei maggiori produttori di petrolio e gas al mondo in cui le bollette sono aumentate fino al 1000% e milioni di abitanti sono rimasti senza riscaldamento a causa di un’ondata di gelo, dimostra che la liberalizzazione del mercato elettrico non solo fa lievitare i prezzi, ma mette in discussione la sicurezza del forniture. Tutto lascia supporre che l’ulteriore espansione delle rinnovabili aggraverà il problema del rincaro delle energia. Non solo perché gli “oneri di sistema” (incentivi alle rinnovabili) rappresentano una quota significativa delle bollette, ma perché, al di là delle professioni di fede, non si può essere certi che le rinnovabili diventino in futuro più economiche delle fossili. Il fatto che il ritorno energetico sull’investimento energetico (Eroei) sia in media più basso per le rinnovabili che per le fossili lascia presagire il contrario.
Cosa trarre da questo ragionamento? Non certo che bisogna interrompere la decarbonizzazione. Così come sarebbe sbagliato invocare la riapertura delle “attività economiche” in piena pandemia, sarebbe folle consentire l’aumento dei gas serra in piena “crisi climatica”. Non è possibile però perseguire una “transizione energetica” seguendo logiche di mercato. D’altra parte, seppure la concorrenza figura esplicitamente tra gli obbiettivi Ue (art.3 TUE), la Costituzione italiana ne parla una sola volta nel Titolo V che definisce i rapporti tra Stato e Regioni. La Carta limita il mercato proprio nel settore energetico nel bellissimo (e dimenticato) articolo 43 secondo il quale la legge può “riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.
Per vincere la povertà energetica ed evitare un continuo aumento dei prezzi bisognerà muoversi nel solco della Costituzione. I prezzi dovranno essere stabiliti dalla politica, serviranno giganteschi investimenti pubblici nella ricerca, nella produzione di rinnovabili e nelle reti, gestiti anche da società statali o cooperative che abbiano come missione non il profitto quanto l’innovazione e l’offerta di servizi con l’obiettivo di fondo di evitare che la transizione aggravi gli intollerabili squilibri sociali presenti nella società europea.