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 2021  maggio 10 Lunedì calendario

L’italia super indebitata ha tre fantasmi in casa

Per un Paese come il nostro che finora ha cercato di risolvere tutte le situazioni di crisi facendo sempre più debito, ci sono tre fantasmi all’orizzonte: la ripresa anche se moderata dell’inflazione, la probabile fine entro il 2023 della sospensione del patto di stabilità e la possibile fine entro 2 anni del Quantitative easing della Banca centrale europea, sia perché dura da troppo tempo, dal 2015, sia perché ci si avvicina all’obiettivo di inflazione al 2% (la Bce prevede un’inflazione media europea 2021 dell’1% che salirà a l’1,4% nel 2023). 
A gennaio di quest’anno, l’inflazione nei Paesi dell’eurozona ha raggiunto lo 0,9% mentre in Italia lo 0,6% contro il +0,5% del 2019 e il -0,2 dello scorso anno. Se questo scenario inflattivo si avverasse e se la Bce che nel 2020 ha comprato titoli italiani per 145 miliardi al netto dei finanziamenti Sure, dovesse ridurre gli acquisti (l’eurosistema detiene il 27% del debito negoziabile italiano secondo le stime di Unicredit) per il nostro Paese si aprirebbero grandi problemi anzitutto legati al finanziamento del nostro enorme debito pubblico.
Tanto più che il deficit 2020 è stato pari all’11,07% e per il 2021, dopo l’ultimo scostamento di bilancio di 40 miliardi, è previsto all’11,8% se però avremo una crescita intorno al 4,5%. E così il livello del debito è balzato dai 2.409,9 miliardi (134,7% del Pil) del 2019 ai 2.569,3 miliardi di euro del 2020 (157,5% del Pil); 43.000 euro a testa bambini compresi, molto più del reddito medio di un anno degli italiani e per il 2021 è previsto che crescerà ancora toccando il 160% del Pil; già a fine febbraio secondo le stime di Banca d’Italia il debito è cresciuto a 2.644 miliardi, ben 74,5 miliardi in più in soli 2 mesi. A questi, nel corso di quest’anno, occorrerà aggiungere non meno di altri 30 miliardi di prestiti con garanzia dello Stato che le 270 mila imprese a rischio di chiusura nel terziario (stima dell’Ufficio studi Confcommercio), già in difficoltà prima del Covid, non potranno restituire. 
Con una crescita del Pil prevista intorno al 4,2% dal Fondo monetario internazionale e al 4,5% dal Def (4,1% a politiche invariate), passeremmo da 1.651,6 miliardi di fine 2020 (nel 2019 era di 1.812,4 miliardi), con un calo di 160,8 miliardi, a 1.720 (70 miliardi in più, cioè meno della metà di quelli persi nel 2020). In questa situazione sarà complicato far fronte al pagamento degli interessi sul debito; il rischio è di tornare nei prossimi anni ai livelli del 2012 con un costo di oltre 84 miliardi, contro gli attuali poco più di 60. 
Ma c’è di più: dubitiamo che i risparmiatori con un’inflazione prevista in crescita all’1,4% siano disposti a sottoscrivere Btp a 10 anni con un interesse fisso dello 0,6% (ultima asta di febbraio) o Cct allo 0,15%, praticamente rendimenti negativi, come del resto avviene in gran parte dell’Europa. Va anche detto che, fino ad oggi, il Tesoro non ha avuto difficoltà a piazzare i nostri titoli, soprattutto tra investitori istituzionali che apprezzano il rapporto rischio rendimento. 
Intanto la liquidità alle Pmi arriva con il contagocce, quando arriva, ma rende poco ai gestori se lasciata sui conti correnti tant’è che alcuni di loro invitano con una nudge poco gentile, a comprare titoli di Stato. 
Attenzione perché il 2020 è stato un anno record anche per i downgrade, mai così numerosi dal 2011 e secondo Standard&Poor’s il rischio default è ancora alto e nello scorso anno ha colpito sei Paesi in via di sviluppo, finiti in bancarotta, sette considerando il Suriname che ha fatto default 2 volte: Belize, Ecuador, Zambia, Argentina e Libano, secondo il 2020 Annual Sovereign Default And Rating Transition Study” di S&P Global Ratings. Il nostro rating è BBB- cioè a un passo dai Junk Bond. Ma anche in questo caso va detto che nei confronto dell’Italia i giudizi delle agenzie di rating non sono peggiorati e, anzi, sono risultati più clementi con l’arrivo del governo Draghi.
Due altri dati non lasciano tranquilli: la pressione fiscale nel 2020, secondo l’Istat, è stata pari al 43,1%, in aumento rispetto all’anno precedente (42,4%) dovuta alla minore flessione delle entrate fiscali e contributive che si sono ridotte del -6,4%, rispetto a quella del Pil a prezzi correnti. Il gettito fiscale ha segnato, sempre secondo Istat, una flessione del 2,1% delle imposte dirette e dell’11,2% per quelle indirette. 
Alla luce di questi dati preoccupanti stupisce che un partito chieda uno scostamento di bilancio di 20 miliardi al mese come fossero noccioline, un altro che ne chiede almeno 80 e quelli che si fanno intervistare ne chiedano tanti per famiglie, imprese, partite iva e bisognosi. 
Per fortuna ora abbiamo il duo Draghi – Franco che si spera davvero riescano a fare «scelte ragionate», ma che soprattutto concentrandosi sul piano vaccini e, assieme ai ministri tecnici, sul Recovery plan, consentano una ripresa robusta del Pil e dell’occupazione.