La Stampa, 10 maggio 2021
La scommessa degli scozzesi
Dunque fra meno di cinque anni la Scozia potrebbe diventare uno Stato indipendente. Con ciò decretando la fine del Regno Unito, ormai residuo del glorioso impero britannico. Altro che "Global Britain", il vago orizzonte para-imperiale caro al premier Boris Johnson e ai Brexiteers. Se poi alla secessione scozzese si accompagnasse la riunificazione irlandese, tutt’altro che improbabile nel medio periodo, il rango dell’Inghilterra si ridurrebbe a esigua cornice di Londra. Singapore sul Tamigi, per la gioia dei cantori delle città-Stato dilaganti nella stagione alta della globalizzazione.
Il distacco della Scozia dall’Inghilterra, rinviato dal referendum del 2014 nel quale gli unionisti prevalsero con il 55% dei voti, è tornato di attualità in seguito alla netta vittoria degli indipendentisti nelle elezioni scozzesi del 6 maggio. Lo Scottish National Party, avanguardia dei separatisti, ha stravinto per la quarta volta consecutiva, ottenendo 64 seggi su 129 a Holyrood, il parlamento di Edimburgo, uno meno della maggioranza assoluta. Sommati agli 8 seggi ottenuti dai verdi, anch’essi fautori dell’indipendenza, garantiscono solida maggioranza per il secondo referendum sull’indipendenza.
Nicola Sturgeon, leader dell’Snp, lo considera diritto acquisito. Da Londra, Johnson lo bolla "irresponsabile e sconsiderato". Lo scontro è aperto e promette di svelarsi acutissimo, perché la posta in gioco è esistenziale. Niente meno che la fine della potenza britannica. Altro che "brillante seconda" degli Stati Uniti nello scacchiere occidentale, l’Inghilterra nuda delle frange celtiche scadrebbe a Stato di serie B.
Il referendum potrebbe tenersi al più presto nel maggio del prossimo anno. Più probabilmente tra settembre 2022 e settembre 2023, prima delle elezioni britanniche del maggio 2024. Se vincesse il "sì", calcolando una fase di negoziati e di transizione, Edimburgo sarebbe indipendente non prima del gennaio 2026. Ma Londra farà di tutto per impedirlo. Fra l’altro, nel caso la Scozia rientrasse da Stato sovrano nell’Unione Europea, il confine anglo-scozzese sarebbe durissimo, oltre che contestato (la delimitazione consensuale non è scontata).
Di certo il rapporto anglo-scozzese è riprecipitato nell’incertezza. Nella migliore delle ipotesi sarà uno stallo prolungato, durante il quale ci si può però attendere di tutto, non esclusa la violenza.
La questione legale è spinosa. Quando Holyrood votasse per l’indizione del referendum in base alla sua interpretazione dello Scotland Act (1998), di certo Westminster respingerebbe la proposta. Nell’interpretazione di Londra la questione della sovranità appartiene ai domini riservati che secondo l’atto di devoluzione restano fuori dalle prerogative di Holyrood. Sturgeon ha promesso che in questo caso ricorrerà alla Corte Suprema. Arriveremmo così al pericoloso paradosso per cui una questione geopolitica per eccellenza, ovvero la sovranità sui 77 mila chilometri quadrati abitanti da cinque milioni e mezzo di scozzesi, sarebbe affidata alla massima magistratura britannica. Ma qualsiasi sentenza lascerebbe una scia infinita di recriminazioni. La parola della Corte Suprema sarebbe formalmente legittima, di fatto non legittimata dal perdente.
Inoltre, anche se consultivo, in caso di vittoria del "sì" l’effetto del voto sarebbe deliberativo. Come potrebbe uno Stato che si autoproclama patria della democrazia negare la volontà di secessione della sua componente scozzese, da oltre tre secoli incorporata nel Regno Unito? E in caso di affermazione del "no", una futura legislatura di Holyrood si sentirebbe comunque abilitata a ritentare.
Quando gli storici scriveranno la storia di questa vicenda, molto probabilmente stabiliranno che l’errore strategico fu commesso da Blair nel 1998 con la legge sulla devoluzione. Molti casi simili insegnano che quando un impero concede a una nazione dalla forte e orgogliosa identità la possibilità di staccarsi, o anche solo non fissa regole chiare che sconsiglino di azzardare la secessione, si piantano i semi di un dissidio permanente. La questione scozzese tormenterà l’arcipelago britannico per un lungo tempo a venire. Qui Londra si gioca la vita o la morte.