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 2021  maggio 10 Lunedì calendario

Il matriarcato fa bene all’economia

Essere proprietaria di un terreno o di una casa riduce di molto la possibilità di ritrovarsi vittima di violenze domestiche. Le donne sono amministratrici molto più efficienti nella riforestazione. Le collettività agricole con almeno un terzo di presenze femminili producono di più di quelle gestite da soli uomini. Queste sono solo alcune delle scoperte compilate nel saggio Disuguaglianze di genere nelle economie in via di sviluppo (il Mulino) della brillante economista indiana Bina Agarwal, pluripremiata professoressa di Economia dello sviluppo e dell’ambiente dell’università di Manchester e componente dell’Accademia dei Lincei. Questa selezione di scritti di economia politica dello sviluppo affronta i temi dell’agricoltura, dei diritti alla proprietà terriera e dell’ambiente da una prospettiva di genere e dimostra, in fin dei conti, in che modo il patriarcato è sconveniente per alcuni settori dell’economia.
Agarwal vive tra il Regno Unito e l’India, dove l’abbiamo intervistata.
Perché i diritti di proprietà terriera sono importanti per le donne, le loro famiglie e per l’efficienza agricola?
«Perché i miei studi dimostrano che essere proprietari della terra riduce il rischio di povertà delle donne quando diventano vedove, divorziano o invecchiano. E le protegge anche dalla violenza domestica. Se una madre possiede la terra questo migliora la salute, l’educazione e le possibilità di sopravvivenza dei figli. Ci sono le prove sia in India che nel resto del mondo. Le stime della Fao dimostrano che se le donne avessero un accesso paritario alla terra e ad altri mezzi di produzione ciò aumenterebbe la produzione agricola nei Paesi in via di sviluppo dal 2,4 al 5%. In India, il 73% delle donne che vivono in zone rurali dipende dall’agricoltura, ma poche possiedono le terre anche se continuano a lavorarle quando i maschi della famiglia hanno lavori non agricoli. Essere proprietari della terra che coltivano aumenterebbe le loro possibilità di avere accesso al credito, ai sussidi governativi, alle informazioni tecniche e di conseguenza aumenterebbe la produttività».
Ma qual è il collegamento diretto tra il fatto che le donne siano proprietarie terriere o di immobili e il rischio di violenze domestiche?
«Essere proprietari di immobili riduce di molto il rischio di abusi matrimoniali. Basandosi su un campione randomico di 500 famiglie nelle zone rurali e urbane del Kerala, abbiamo scoperto che il 49% delle donne che non avevano terreni o una casa erano vittime di violenza domestica in confronto al 18% delle proprietarie terriere e al 7% di donne proprietarie sia terreni che di case. Questi risultati sono stati confermati anche dopo aver controllato altri possibili fattori come l’educazione o l’occupazione».
Perché nel suo libro propone una forma di agricoltura collettiva sostenendo che è più efficiente della gestione individuale o familiare?
«Perché le aziende agricole indiane sono troppo piccole. L’86% ha meno di due ettari e gran parte non ha accesso all’irrigazione, al credito, alle nuove tecnologie, ai mercati e alle tecniche per affrontare i cambiamenti climatici. Se molti agricoltori unissero le loro terre, il lavoro, i fondi e le capacità, potrebbero agire come aziende di taglia media migliorando l’economia di scala, risparmiando nei costi di produzione, coltivando prodotti agricoli di valore più alto, ottenendo quindi un potere contrattuale più forte.
Nella mia ricerca sull’agricoltura di gruppo nel Sud e nell’Est dell’India, ho trovato collettivi con produzione e profitti significativamente più alti se raffrontati alle piccole aziende a conduzione familiare. Nel Kerala, i gruppi esclusivamente femminili che ho studiato avevano una produzione annuale, per ettaro, più alta di 1,8 volte in rapporto alle fattorie individuali. Nell’Est dell’India, i raccolti di frumento e di riso dei gruppi di genere misto erano molto più alti di quando lavoravano la terra da soli».
Lei sostiene che la presenza delle donne nella protezione delle foreste può essere di grande aiuto nell’ottenere risultati nella conservazione. Perché?
«Nei primi anni Novanta, l’India e il Nepal lanciarono alcuni programmi comunitari di silvicoltura.
Cedettero ai contadini delle foreste deteriorate da gestire tramite dei gruppi di protezione forestale.
Studiando questi gruppi ho scoperto che non c’erano donne o al massimo c’erano una o due donne nei comitati esecutivi dove si prendevano le decisioni più importanti. Così mi sono chiesta: se ci fosse una presenza femminile maggiore, ci sarebbe un miglioramento nella conservazione? E analizzando uncampione di diverse comunità, ho scoperto che quelle con una forbice tra il 25 e il 33% di presenza femminile o interamente gestite da donne ottenevano risultati significativamente migliori di quelle con solo uomini. Perché le donne, quando sono presenti in un numero sufficiente, migliorano significativamente la protezione e apportano un conoscimento speciale dell’ecologia locale che aumenta la rigenerazione».
Dopo aver analizzato India, Bangladesh, Pakistan, Sri Lanka e Nepal, lei ha scoperto che le somiglianze culturali sono superiori alle differenze religiose.
«Le vorrei fare degli esempi. Le donne nel Sud dell’India e nello Sri Lanka possono sposarsi con uomini dello stesso villaggio natio e tra cugini incrociati, sia che siano indù, musulmani o buddisti, mentre gli indù e i sikh del nord dell’India proibiscono questi matrimoni interreligiosi. Nel Kerala, troviamo società matrilineari sia tra indù che tra musulmani. Nel Nord-ovest indiano e in Pakistan raramente le donne ereditano le terre, che siano indù, musulmane o sikh, ma nell’India del Sud e nello Sri Lanka i genitori sono molto più aperti all’idea che le donne ereditino le terre, a prescindere dalla religione di appartenenza. E il Nord-est indiano e il Nepal sono culturalmente simili in molti modi.
Gli schemi regionali sono quindi simili anche nella proporzioni di genere, nell’educazione delle donne e nella loro partecipazione al lavoro. I politici oggi promuovono identità divisive sulle basi della religione, negando le tradizioni culturali condivise. Ciò è una minaccia per la collaborazione tra comunità che è necessaria per costruire una società più prospera, pacifica e giusta».