Il Messaggero, 9 maggio 2021
Intervista a Elio Germano
Gli ashram, la meditazione, i Baba. Il viaggio in India, nella grotta del santone torinese Baba Cesare. L’amicizia con Folco Terzani, figlio del giornalista Tiziano. E la passione da hippie 2.0 per la realtà virtuale, la terza via tra cinema e teatro di cui Elio Germano è, dal 2016, tra i primi sperimentatori. Candidato ai David di Donatello nel ruolo del pittore Ligabue in Volevo Nascondermi, l’attore romano 41 anni il prossimo settembre porterà sabato prossimo a Firenze, nella due giorni dedicata al Best of River to River 2020 (il festival del cinema indiano) il suo ultimo progetto in realtà virtuale, The Italian Baba My Cave in India, di cui è voce narrante e produttore con il regista italo iracheno Omar Rashid, 41. Un suggestivo film di 20 minuti tratto da A piedi nudi sulla terra di Folco Terzani, in cui Germano sul set di America Latina dei fratelli Fabio e Damiano d’Innocenzo, e poi ne Il signore delle formiche di Gianni Amelio, sullo scrittore Aldo Braibanti – mette insieme alcune delle sue passioni: l’India, i viaggi e un certo fricchettonismo orgogliosamente rivendicato.
Dopo il film del 2010 La fine è il mio inizio, torna a Terzani. C’è un legame speciale?
«Quel film mi ha fatto conoscere Folco Terzani. Siamo diventati amici, sono stato con lui in India e mi ha presentato Baba Cesare, l’italiano che si è ritirato in una grotta per quasi quarant’anni. Lui ci ha scritto un libro, a me e Omar è venuta voglia di raccontarlo in altro modo».
Cioè con la realtà virtuale. In un ashram. Perché?
«Due anni fa ho portato le telecamere nella casa di Cesare. È una grotticina frequentata ancora oggi da quel che resta degli hippie e da generazioni di spirituali in cerca della grotta del Baba. Per chiunque abbia vissuto quegli spazi, rivederli nel visore è un’esperienza molto forte».
Il fuoco sacro, i Baba, il karma: nostalgia degli anni Settanta?
«Non credo di essere fuori tempo massimo. Sono concetti che hanno 4000 anni di storia. Idee che resistono anche alle pandemie. Temi che non si esauriscono nel frequentare un ashram. E oggi, con tutto il materialismo che ci circonda, sono anche più attuali che negli Anni Settanta».
Non teme di passare per il fricchettone del cinema italiano?
«Sinceramente di quel che posso sembrare agli altri non me ne frega nulla. Il mio è un desiderio di verità, non di fuga».
Sarà in realtà virtuale anche il suo Così è (o mi pare). Di cosa si tratta?
«È uno spettacolo teatrale. La prima sarà in autunno al Teatro La Pergola di Firenze, che l’ha coprodotto: la gente entra in sala, indossa il visore e lo spettacolo comincia in contemporanea. È una riscrittura di Pirandello, sulla differenza tra chi pensiamo di essere e come ci vedono gli altri. A Pirandello la realtà virtuale sarebbe piaciuta molto».
Scusi, ma col visore a che serve il teatro?
«Condividere l’esperienza in contemporanea disinnesca il meccanismo di alienazione della realtà virtuale. Il lavoro precedente, in teatro, l’hanno visto 25.000 persone».
Quel lavoro era La mia battaglia, diventato libro e film virtuale: sarà anche al cinema?
«Stiamo lavorando a una versione 2d. Ma è uno spettacolo che funziona col coinvolgimento diretto del pubblico. Il tema è la manipolazione».
Il protagonista è un comico che diventa dittatore. Pensava a Grillo?
«No, a tutti i politici. Anche Hitler e Mussolini cercavano di conquistarsi il pubblico, di piacere. Ma oggi, più che allora, conta la simpatia. La logica del like che appiattisce tutto. Quando la complessità si riduce a uno slogan, deve suonare un campanello d’allarme».
Martedì ai David corre contro Pierfrancesco Favino. Lui Craxi, lei Ligabue. Chi vince?
«Sono un suo grandissimo fan e trovo che abbia fatto un lavoro incredibile. Ma non è che scopro ora che Picchio è bravo, per come ha fatto Craxi. Approfitto anzi per dire che le nostre opportunità nascono anche dal grande lavoro dei truccatori, eccellenze italiane che lavorano in tutto il mondo, spesso qui dimenticate».
Sì, ma avete tre David a testa. Il quarto non lo vorrebbe?
«Non sono competitivo. Se lo vincessi glielo darei volentieri».
Gabriele Muccino si è ritirato dai David, in polemica con i criteri di voto. Che ne pensa?
«Che mi dispiace. Dibattere dei criteri è sempre giusto. Ma è un peccato che una persona del suo calibro rimanga impigliata in questioni che lasciano il tempo che trovano. Capita che ci siano film e performance straordinarie che restano senza premi».
Muccino dice che il politicamente corretto è la tomba dell’arte. Non è d’accordo?
«Semmai sono i suoi film ad essere più politicamente corretti. E comunque non mi pare che questo sia un anno di film politicamente corretti ai David».
America Latina e Il signore delle formiche: cosa può dire?
«Pochissimo. America Latina è quasi finito, mancano due settimane. È un thriller molto intenso, lo è stato anche nella lavorazione. Amo il linguaggio sincero e particolare dei fratelli D’Innocenzo. Di Amelio che dire? È la storia del cinema. Sono molto sereno. Ho solo tanta voglia di far bene, senza sgomitare».