Il Sole 24 Ore, 9 maggio 2021
È un selvaggio, ma relativamente
Perché una credenza e un’usanza sono presenti in un posto e non in un altro? Perché alcuni popoli hanno adottato il sacrificio, il cannibalismo e il culto degli antenati mentre altri non lo hanno fatto? Perché gli esseri non-umani non sono rappresentati nei Parlamenti delle democrazie? Queste e altre domande sono il punto di partenza del libro di un grande antropologo, Philippe Descola. Libro che, a 15 anni dalla prima pubblicazione, è già un classico nel suo ambito e ha un obiettivo filosofico molto ambizioso, che è poi quello di farci dubitare dell’ontologia e della concezione della realtà in cui solitamente confidiamo. Il libro in questione esce ora in (una seconda) edizione italiana -avvalendosi di un’eccellente traduzione e di una brillante Postfazione- col titolo Oltre natura e cultura. Scopo del libro è quello di decostruire la dicotomia classica natura-cultura e, tramite ciò, relativizzare il «naturalismo» (cioè la visione della natura) prevalente in Occidente. Se lo scopo è teoretico, ingente è la quantità e di materiale empirico su cui la teoria poggia, a cominciare dalla frequentazione diretta da parte dell’autore del popolo Achuar, indigeni amazzonici del gruppo Jivaro.
Descola costruisce una tassonomia di alcun «modi di identificazione», atti a caratterizzare l’esistenza pubblica di abitatori di diverse ontologie regionali. I fondamentali modi di identificazione possono essere: animistici, totemistici, analogistici e naturalistici. Si può supporre che ognuno di questi quattro modi di identificazione prevalga all’interno di un regime di relazione intersoggettiva del tipo di quelli tipicamente descritti in antropologia culturale. I modi di identificazione comunque precedono in senso logico e sostanziale i modi di relazione. L’animismo, ad esempio, classifica gli esseri non-umani sul modello di quelli umani. In questo modo, la natura ricava i suoi modi di identificazione dalla cultura, secondo lo stile della «proiezione». Lasciando da parte i modi, caratterizzati da totemismo e analogismo, tutto sommato ibridi, è interessante notare come il modo di identificazione naturalistico adoperi un peculiare dualismo, secondo cui esiste una sola natura e differenti culture.
Il naturalismo (riduzionistico) è una cosmologia che coincide -per Descola- con la filosofia di sfondo del nostro tempo in Occidente. Si tratta di una cosmologia meccanicistica che -da Galileo a Newton, passando per Cartesio- consentì«un quadro senza precedenti allo sviluppo del pensiero scientifico». Di questa noi siamo ancora oggi custodi distratti ma fedeli. Distratti perché i residui di altri modi di identificazione si annidano nel nostro, dal New Age al misticismo; fedeli perché, per un Occidentale, è difficile se non impossibile uscire dal modo di identificazione naturalistico, e si può tutt’al più cercare di rendere conto degli altri modi di identificazione senza imporre loro il nostro sguardo etnocentrico. Si è detto che il modo naturalistico con la visione scientifica che lo accompagna ci ha avvantaggiati molto, ma ciò al prezzo di una virulenta semplificazione tra le cui conseguenze più ovvie c’è la perdita di consapevolezza del modo in cui culture altre rendono conto del loro rapporto con il creato. Ciò vuol dire che con una sorta di colpo di mano la nostra ripartizione degli. esseri e delle cose è diventata la norma universale da cui nessuno doveva esimersi, pena, tra le altre, l’accusa di arretratezza e primitivismo.
L’antropologia ha tradizionalmente sfidato questo modo di vedere le cose. E tuttavia, magari a malincuore, ha finito col confermare questa divisione ontologica. Per uscirne, l’antropologia, cioè la scienza dell’uomo, deve avere la forza di trascendere lo studio dell’umano per occuparsi anche delle altre creature organiche (animali, piante) e inorganiche (minerali, acque, deserti). Abbandonando così la divisione classica tra cultura e natura (da cui il titolo del volume). La dimora a due piani, quella in cui c’è un solo mondo ma molte visioni culturali del mondo, non ci conforta più.
Questo modo di ragionare sostanzialmente monista mette, tra le altre cose, in crisi la distinzione classica tra selvaggio e domestico. Ager e silva, per dirlo alla maniera dei Romani, o physis e nomos, per dirla coi Greci, non sono così nettamente separabili. Se si parte, come fa Descola seguendo Latour, dalla tesi che la grande divisione natura-cultura è in fin dei conti illusoria, si può cominciare a immaginare che esistano spazi nomadi nell’ambito di una nuova antropologia del paesaggio in cui -con Marx- i modi di produzione e le forme di vita determinano gli assetti ecologici.
Le distinzioni tra modi di identificazione alla Descola non sono da leggere, nonostante un’ovvia tentazione contraria da filosofia della storia, diacronicamente ma sincronicamente. Intendo dire che la mentalità occidentale contemporanea privilegia di solito un retroterra naturalistico, oscurando aspetti complessi della nostra personalità che hanno a che fare con un rimosso animistico, totemistico o analogistico, che pure sopravvivono lontano da noi. Ma anche in noi.
Il superamento del dualismo standard impone la fine della valutazione etnocentrica: non ci sono più conoscenze legittime, coerenti col naturalismo, e residui simbolici, che si ispirano all’animismo o altri modi di identificazione. Si può rispettare la fisica teorica trattando il creato alla maniera di San Francesco. In questo modo, muta anche la concezione dell’Altro: popoli che non condividono la nostra cosmologia non mancano di creatività. Ne risulta anche un modo diverso di includere animali, piante e mondo inorganico nel novero di coloro che prendiamo seriamente in considerazione. Non lo si farà più sul modello del cerchio che si espande alla maniera di Peter Singer. Ma piuttosto concedendo al resto del creato uno spazio del tutto nuovo, non troppo dissimile da quello che i popoli animisti come gli Achuar, cari a Descola, gli attribuivano immaginandolo pieno di anima. Tesi quest’ultima tanto ricca di fascino quanto di mistero che riconduce alla nostra attenzione la vivacità di un mondo troppo spesso relegato nel novero delle cose senza significato.