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 2021  maggio 09 Domenica calendario

Dopo 70 anni esce “Il maglione rosso” di Mario Sturani

Mario Sturani fu per parecchi anni l’amico più stretto di Cesare Pavese: dal periodo del liceo fino alla metà degli anni Trenta e al confino politico di Pavese a Brancaleone Calabro. Poi qualcosa per diversi motivi si ruppe, pur se entrambi continuarono a tenersi presenti. Sturani nel frattempo si era sposato con Luisa Monti, la figlia di Augusto Monti, il “professore” per eccellenza di Pavese, strenuo antifascista condannato a cinque anni di carcere dal Tribunale Speciale. 
Dopo la guerra e la resistenza, in cui aveva militato nelle brigate partigiane, nel 1948 Mario Sturani scrisse il romanzo Il maglione rosso, ambientato in quella Parigi dei primi anni Trenta in cui egli aveva tentato la fortuna dell’artista. Era la metropoli di Joséphine Baker e di Picasso, di Céline e di Henry Miller. Lo propose all’amico Pavese per l’Einaudi ma Pavese lo rifiutò. Sturani provò una delusione cocente e il romanzo finì in un cassetto.
Artista di rilievo della Torino del Novecento, tra i più originali e poliedrici, Mario Sturani (1906-1978) fu pittore, scrittore, entomologo, direttore della ditta Lenci, per la quale produsse ceramiche e ideò numerosi oggetti. Arte e natura sono stati anche gli argomenti principali della sua attività letteraria, che è proseguita costante nel tempo, unendo rigore scientifico e inclinazione divulgativa. Ci fu al principio pure la poesia, della quale Marziano Guglielminetti raccontò in un bellissimo saggio la poetica «tenzone» con Pavese. 
Tra i tanti sogni condivisi con Pavese risalta quello dei «mari del Sud», titolo e tema di una delle più belle poesie del Novecento. Composta nel 1930, la poesia I mari del Sud apre la raccolta Lavorare stanca di Pavese (1936), con dedica proprio ad Augusto Monti, da poco diventato suocero di Sturani. Sullo stesso motivo Sturani aveva dipinto nel 1933 la tempera Testa di ragazza dei mari del Sud e l’affresco I Mari del Sud; soggetti e miraggi marini accomunabili alla balena bianca dipinta da Sturani per la copertina di Moby Dick tradotto da Pavese e pubblicato dall’editore Frassinelli nel 1932. 
Per Sturani sono gli anni appena seguenti al soggiorno a Parigi del 1931-1932 narrato nel Maglione rosso. Tra il periodo dei fatti e la scrittura del romanzo passano anni assai importanti. I tempi cupi del Fascismo e del Nazismo, le illusioni dei Fronti Popolari, la guerra di Spagna, il baratro della Seconda Guerra mondiale, le speranze e le illusioni della rinascita postbellica. 
All’inizio del romanzo il maglione rosso del protagonista è il vestito sgargiante di un aspirante pittore frequentatore di bordelli, disinvolta sfida esibizionistica e rivendicazione ancora confusa di autonomia e di libertà. L’arresto che quel maglione causa è un infortunio accidentale (eppure già un presagio), che apre le prime crepe nella coscienza di chi pur manifesta un aperto disinteresse per la politica («Ma qualcosa mi agitava. Nel mondo accadevano cose alle quali non avevo mai pensato»). È lo stesso maglione rosso che l’io narrante Sergio Sivari al termine del romanzo indossa invece con consapevolezza e orgoglio politico, segno distintivo e colore di una conversione.
La Parigi nella quale Sivari-Sturani cerca il successo è sinonimo di accoglienza internazionale, apertura mentale e libertà sessuale, fruttuosi e variegati incroci di persone culture ed esperienze, di letteratura arte e musica, di piani alti e bassi («Parigi è bella per questo: sa essere come ognuno la vuole. Ti lascia libero, non ti soffoca, non ti opprime. Ci possono vivere bene i Picasso come i cravattoni della vecchia bohème. I ricconi come i poveri diavoli. I turisti come i parigini. Puoi respirare il fiato caldo e buio del metrò e l’aria pura sotto una quercia al Bois»). Partito da Torino pieno di aspettative e con uno scopo preciso («Volevo vedere Picasso»), alla ricerca del colpo magico che lo innalzerà nell’empireo della «Mecca dell’arte», il giovane protagonista proverà invece rapido sconforto e disinganno e vivrà il crudo passaggio dal mondo dei sogni a quello della brusca realtà. Il tutto raccontato con accenti leggeri e frizzanti, scanzonata vivacità picaresca, brillanti trovate da commedia degli equivoci, lapidarie sentenze aforistiche («non c’è dolore che tenga quando la pancia reclama»), un’illuminante ottica dal basso, ritmo sostenuto e tanta ironia e autoironia. 
Nel Maglione rosso ci sono momenti emotivamente intensi che spezzano (e valorizzano) l’apparente e divertente levità del racconto, creando una sapiente alternanza di toni e di temi. Spicca l’incontro con Leone Ginzburg («il barbuto lion dei Monti Urali»), occasione per un ritratto affettuoso e pieno di ammirazione. Nel romanzo è inoltre ribadita la passione di Sturani per l’osservazione scientifica e artistica della natura, ampiamente attestata dai libri Caccia grossa fra le erbe(pubblicato nel 1942 da Einaudi), Vita delle farfalle La luna (entrambi stampati da De Silva nel 1947, stesso editore e stessa data della prima edizione di Se questo è un uomo di Primo Levi). Dopo questi testi scientifici e divulgativi Sturani rimise mano al Maglione rosso, pronto per presentarlo a Pavese nel 1948. Pavese però non lo apprezzò. Sturani ritenne ingiusto il verdetto negativo dell’amico rinunciando tuttavia a pubblicare il libro altrove. Solo ora, a oltre settant’anni dalla stesura, Il maglione rosso vede per la prima volta la luce. Documento del tempo e prova estetica di valore.