Il Sole 24 Ore, 9 maggio 2021
A tu per tu con l’architetto Hidenobu Jinnai
Questa è una storia che inizia e si sviluppa sull’acqua. Una storia a spirale, da est verso ovest e ritorno. La storia di uno studioso di architettura discreto e geniale, Ufficiale al merito della Repubblica italiana, conoscitore come pochi di quell’universo magmatico che è Tokyo così come dei paesini della Costiera amalfitana o dei borghi della Puglia come Cisternino o Monopoli.
Ricordate questo termine, «Suitogaku», che non è un’arte marziale, ma la disciplina con cui Hidenobu Jinnai ha inciso profondamente nella storia dell’architettura. Il confronto con l’Italia – ricorda Jinnai, oggi alla Hosei University di Tokyo – è importante per il Giappone: la vita nei borghi, l’artigianato, l’esplosione di creatività tra i giovani, la conservazione delle tradizioni, in parallelo con il rapporto con la natura. Insomma, i borghi modello di ripresa sostenibile, tema particolarmente pregnante in tempi di emergenza sanitaria.
Tutto ha inizio a Venezia, per ritrovare, seguendo il filo dell’acqua, l’anima del Periodo Edo (o Tokugawa) tra le luci e i quartieri della capitale nipponica. «Quando studiavo all’Università di Tokyo intorno al 1970 – racconta – sentivo i limiti dell’architettura e dell’urbanistica moderne. Ho scritto la mia tesi di laurea sulla storia delle città europee medievali e poi ho potuto esplorarle durante un viaggio di una cinquantina di giorni durante le vacanze estive del 1971. Ho sentito una forte attrazione per il fascino delle città italiane.? Sono rimasto colpito nel vedere come si svolge la vita in centri come Siena e Perugia dove le persone – bambini e anziani – vivono in spazi urbani a misura d’uomo. E così ho deciso di studiarle in maniera più approfondita. Il metodo per la lettura delle città moderne ma con radici storiche composte di vari strati è diventato il tema principale nel mio studio sull’Italia». E così inizia l’incontro tra il giovane architetto giapponese nativo di Fukuoka e l’aura delle città storiche italiane. «La prima – prosegue – è stata Venezia. Durante il dottorato dell’Università di Tokyo, vi ho vissuto per due anni dal 1973 al 1975 e ho studiato allo Iuav come borsista del governo italiano. Venezia mi affascinava come soggetto di studio, ma allo stesso tempo ho potuto sperimentare il fascino di vivere in questa città.??La Venezia degli Anni 70 aveva meno turisti di oggi, era piena di vita e aveva molti negozi e trattorie.?Ho avuto occasione di vivere ancora a Venezia per un anno nel 1991 con mia moglie e ho potuto ambientarmi molto di più rispetto agli Anni 70. Sono nate amicizie con diversi tipi di persone: professori di varie discipline, artigiani, commercianti, negozianti, incluso anche un pescatore giudecchino. Ho partecipato a tanti eventi, a tutte le feste organizzate dalla Compagnia della Calza. Tuttavia oggi sono triste e dispiaciuto che Venezia stia versando in uno stato di “overturismo” e perdendo la vera vita cittadina».
Con l’esperienza veneziana, gli orizzonti si ampliano ad altre realtà tipiche dell’Italia in parallelo con il Giappone. «Abbiamo allargato il tema della ricerca dai centri storici al territorio» spiega. «Allo stesso tempo il paesaggio culturale è diventato anche un tema importante. Nello specifico, lavoriamo in tre zone d’Italia. La prima è la Costiera amalfitana. Come laboratorio dell’Università Hosei, con la collaborazione del Centro di cultura e storia amalfitana, abbiamo lavorato sul centro storico di Amalfi dal 1998 al 2003, e dal 2010 abbiamo ampliato l’oggetto di studio a tutta la Costiera Amalfitana, territorio che mantiene la memoria storica della Repubblica marinara. Abbiamo cercato di riscoprire valori storici e culturali nascosti, meno conosciuti, non solo nelle città costiere, ma anche nei centri abitati nelle zone interne come Ravello, Scala, Pontone e Tramonti. Attualmente stiamo lavorando per la pubblicazione dei vasti risultati della ricerca in Italia e Giappone. L’altra è la Val d’Orcia, alla quale lavora da molti anni l’amica Paola Farini (Università di Roma). Su sua raccomandazione, nel nostro laboratorio, abbiamo condotto ricerche sul campo sui centri storici, borghi, campagna/zone agricole, poderi, ecc., con il metodo dell’antropologia spaziale oltre che dell’architettura. Abbiamo indagato il legame tra città e campagna. Le analisi hanno rivelato come sia in atto la rigenerazione del territorio intero. Il terzo tema è la Puglia. Abbiamo condotto tante ricerche sulle città lungo il mare: Bari vecchia, Monopoli, Gallipoli, Barletta, Otranto e città interne, Lecce, Conversano e Valle d’Itria (Martina Franca, Cisternino), Ostuni. Abbiamo osservato i processi della rigenerazione urbana-territoriale dagli anni 90 in poi. Cisternino è uno dei miei paesi preferiti e vi ho condotto ricerche continuamente dal 1975. Era una piccola realtà un po’ isolata dallo sviluppo moderno, invece ora attira l’attenzione anche culturalmente. È meraviglioso vedere il processo di rigenerazione sia del centro storico che della campagna in questo territorio. Sto preparando una pubblicazione (per il Giappone) anche sulle città e i territori della Puglia».
Tra l’Italia dei borghi e il Sol Levante si muove il fiume carsico della rigenerazione architettonica. «Gli studi comparativi tra Italia e Giappone – sottolinea Jinnai – sono di grande importanza perché i due Paesi hanno differenze e punti in comune tra loro.
La differenza è la cultura della pietra e la cultura del legno. In Italia gli edifici sono sopravvissuti per secoli quindi è possibile preservare il centro storico. In Giappone, i vecchi edifici sono stati persi molte volte a causa di terremoti e incendi. Tuttavia, le città giapponesi mostrano un’identità culturale, con condizioni naturali come topografia, sorgenti, fiumi e vegetazione, assegnazioni di terre, reti stradali, spazi aperti, santuari e altri elementi collegati con le terre, o con condizione socio-culturale come feste e comunità locali. Questi elementi continuano a esistere. Gli elementi intangibili sono importanti. Questo confronto tra storia ed eredità della memoria tra Italia e Giappone è un argomento chiave. Ereditare non solo gli elementi fisici e l’hardware dell’edificio, ma anche i contenuti e gli aspetti soft della vita è una questione importante per l’Italia e l’interazione con il Giappone è significativa. Ho studiato le città giapponesi e italiane con l’approccio di antropologia spaziale che ho imparato in Italia».
L’acqua è il fattore chiave. «Mi sono basato sulla mia bella esperienza a Venezia. Ho riscoperto il fatto che anche Tokyo era una città d’acqua. Dal 1980 ho condotto ricerche continuamente sulla capitale giapponese come città d’acqua sia da punto di vista storico, morfologico e antropologico sia da punto di vista socio-economico: il processo del recupero-rigenerazione della Tokyo”acquatica” in anni recenti. All’Università Hosei abbiamo fondato un gruppo di studio sulle città d’acqua intitolato Suitogaku. Lo scopo è farne rinascere una qui a Tokyo. Ho fatto anche uno studio comparativo tra la megalopoli asiatica e Venezia, realizzando diversi convegni e tante conferenze con colleghi veneziani di Ca’ Foscari e Iuav.
Tokyo era una tipica città d’acqua con canali come a Venezia nella zona bassa orientale del centro e, allo stesso tempo, possiamo trovare le caratteristiche di un altro tipo di città (o un territorio) d’acqua in una vasta area occidentale – l’altopiano di Musashino – dove si trovano abbondanti risorse idriche. Basandosi sulla topografia dinamica di Tokyo, si trovano sorgenti, fiumi, canali di irrigazione, laghetti, santuari collegati con l’acqua, tutti elementi fondamentali per formarsi un’idea della vita locale del territorio nel passato. Questi elementi collegati con corsi d’acqua costruiscono una base importante anche per il paesaggio culturale caratteristico in Giappone. Questa nuova immagine di città d’acqua può essere suggestiva per ripensare città ecologiche/sostenibili dove gli elementi naturali vengono rispettati di più».
Quali spunti dal modello Italia? «Negli Anni 80 l’Italia ha ritrovato il suo splendore. Nella parte centrale e settentrionale, le città di piccole e medie dimensioni hanno riacquistato fascino e vitalità e le aziende a conduzione familiare sono state attive in settori come il design e la moda, trasmettendo l’immagine dell’Italia al mondo, compreso il Giappone. È importante notare che in questa stessa Italia degli anni 80 l’attenzione fosse concentrata anche sulle zone rurali e agricole che circondano la città e si riconoscesse l’importanza del territorio. Gli anni 80 sono stati un periodo in cui l’Italia ha riscoperto la ricchezza e il fascino della campagna oltre allo splendore della città. Ciò rappresenta un importante cambiamento nell’ottica di chi vuole pensare a una società sostenibile nel prossimo futuro, basata sul riflesso della civiltà moderna, industriale.
In questo secolo, soprattutto dopo lo shock della crisi innescata dal fallimento di Lehman Brothers, la condizione economica è peggiorata in Italia come nel resto del mondo. In Italia va detto che proseguono le attività di produzione industriale di alta qualità emerse negli Anni 80. E sono fortemente convinto che le città e le campagne del Sud Italia (trascurate e marginalizzate a lungo) si siano rivalutate e rivitalizzate in ultimi 20 anni, con grandi implicazioni per l’Italia. Il Giappone può imparare molto dall’esperienza italiana».