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 2021  maggio 09 Domenica calendario

Il paradosso dell’India sui vaccini

Primo produttore al mondo di farmaci generici, l’India sembrerebbe avere le carte in regola per sfruttare una eventuale sospensione dei brevetti sui vaccini Covid-19, almeno nel lungo termine. Insieme al Sudafrica, nell’ottobre del 2020, New Delhi ha chiesto alla Wto di congelarne la tutela, con una deroga al trattato Trips. La proposta ha ricevuto nuovo impulso dopo l’appoggio degli Stati Uniti. L’Unione europea invece frena. Il negoziato non è facile né rapido e, anche se approvata, la deroga impiegherebbe molti mesi per produrre effetti concreti in termini di aumento della produzione di vaccini. E potrebbe non essere la chiave per risolvere l’emergenza in cui l’India è sprofondata.
Negli ultimi sette giorni, le autorità hanno registrato oltre 2,7 milioni di casi di Covid-19, con più di 26mila morti. Dall’inizio della pandemia, i contagi sono ormai quasi 22 milioni e oltre 238mila i morti. I numeri ufficiali, relativamente contenuti rispetto a una popolazione di quasi 1,4 miliardi di abitanti, colgono solo una parte del fenomeno. La campagna di immunizzazione, intanto, non decolla. Meno del 10% della popolazione ha ricevuto almeno una dose e solo il 2,5% è totalmente coperta. Diversi Stati hanno dovuto sospendere le inoculazioni, per mancanza di vaccini. Nel Paese sono state finora somministrate circa 165 milioni di dosi.
Il punto di riferimento della campagna è il Serum Institute, che è il maggior produttore mondiale di vaccini per volume, con circa 1,5 miliardi di dosi all’anno, usate in oltre 170 Paesi contro malattie come poliomielite, influenza, morbillo. Il gruppo ha firmato accordi per produrre un miliardo di dosi di vaccino Covishield per Astrazenca e 750 milioni di dosi di Novavax.
Attualmente, la capacità di produzione del Serum Institute è però ferma a circa 70 milioni di dosi al mese. Il gruppo aveva annunciato che sarebbe salito a 100 milioni entro maggio, salvo poi dover rimandare l’obiettivo a luglio, dopo l’incendio in un impianto. Aumentare la capacità di produzione non è semplice nemmeno per un colosso globale. L’amministratore delegato, Adar Poonawalla, punta il dito anche contro le restrizioni all’export dei materiali necessari per i vaccini, messe in atto da alcuni Stati, come gli Usa. 
Il gruppo è cruciale anche per il programma internazionale Covax, che fornisce vaccini ai Paesi a basso reddito. Nei piani iniziali, metà della sua produzione doveva essere esportata, alimentando la diplomazia dei vaccini del premier Narendra Modi. L’India ha consegnato (tra donazioni, vendita e programma Covax) oltre 66 milioni di dosi a 95 Paesi. Da marzo, però, il Governo ha posto un freno, per far fronte alla drammatica situazione nel Paese. 
Oltre al Covishield del Serum Institute, l’India ha finora utilizzato un altro vaccino, l’autoctono Covaxin, prodotto da Bharat Biotech (che condivide il brevetto con l’Indian Council of Medical Research): il gruppo sta potenziando la produzione per salire a 30 milioni di dosi a maggio, dai 20 di aprile. L’obiettivo è arrivare a 700 milioni di dosi all’anno. Ad aprile, è stato approvato l’uso di un terzo vaccino, il russo Sputnik V, che sarà prodotto a partire dai prossimi mesi con un consorzio di aziende farmaceutiche indiane e l’obiettivo di 850 milioni di dosi all’anno. Altri farmaci sono in lista di attesa, come il Johnson & Johnson, che ha già un accordo di produzione per 600 milioni di dosi all’anno con l’indiana Biological E.
Secondo T. Jacob John, uno dei più autorevoli virologi in India, «il modo più veloce per ottenere vaccini è aumentare la produzione di quelli già fatti in India oppure importarli».