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 2021  maggio 09 Domenica calendario

Litio, rame e minerali critici. I padroni dei mercati

Se scarsità e controllo delle risorse sono stati i fattori tipici del vecchio mondo economico del petrolio e del gas non si può dire che le cose saranno molto diverse in quello nuovo delle energie pulite. Prendiamo la produzione dei «minerali critici», come li chiama l’International Energy Agency, ovvero il rame, il nickel, il litio, il cobalto e le terre rare, che servono per costruire e far funzionare un ampio raggio di tecnologie rinnovabili come il solare fotovoltaico, l’eolico o le batterie. Per litio, cobalto e terre rare i tre Stati che sono i maggiori produttori mondiali – Australia, Repubblica Democratica del Congo e Cina – controllano più di tre quarti del mercato. La Repubblica Democratica del Congo produce più del 70% del cobalto, la Cina più del 60% delle terre rare. Pechino la fa da leone anche nel processamento e nella raffinazione dei minerali, con quote che vanno dal 35% nel caso del nickel al 50-70% per litio e cobalto, fino al 90% delle terre rare. 
Fin qui si è trattato di un problema ben conosciuto dai produttori di smartphone o di strumenti elettronici in genere. Ma la questione nuova che si pone ora è che il settore energia sta emergendo come il principale cliente del mercato dei minerali critici. Costruire un impianto fotovoltaico, un campo eolico e un veicolo elettrico richiede molti più minerali delle loro controparti fossili, scrive l’Iea. Per un’auto elettrica serve una quantità di minerali sei volte superiore rispetto a un’auto tradizionale, per un campo eolico onshore nove volte di più rispetto a una centrale elettrica alimentata a gas. Dal 2010 la quantità media di minerali necessaria per ogni singola unità di generazione elettrica è aumentata del 50%. Un fenomeno riconducibile al massiccio sviluppo delle rinnovabili: litio, nickel, cobalto, manganese e grafite sono cruciali per la performance delle batterie; le terre rare lo sono per i magneti permanenti, a loro volta vitali per turbine eoliche e motori elettrici; rame ed alluminio sono indispensabili per il massiccio sviluppo delle reti elettriche di trasmissione che servirà. 
Insomma, un problema serio, soprattutto in prospettiva. Nello scenario che più si avvicina agli obiettivi dell’Accordo di Parigi la quota di domanda di minerali da riservare alle tecnologie energetiche pulite nei prossimi vent’anni sale al 40% per rame e terre rare, al 60-70% per nickel e cobalto e a più del 90% per il litio. Auto elettriche e batterie hanno già sorpassato l’elettronica di consumo nell’utilizzo di litio e supereranno nel 2040 l’industria dell’acciaio in quello del nickel. Il tutto in un contesto di elevata crescita della domanda: fino a sei volte quella attuale nel 2040, se si volesse centrare l’obiettivo della piena decarbonizzazione. 
Che cosa fare? Non c’è da perdere tempo. È vero che il riciclo dei materiali potrà servire ad alleggerire fino al 10% della domanda. Ma l’esperienza del recente passato ha mostrato che in media sono necessari 16 anni per tradurre in realtà nuovi progetti minerari, dalla scoperta alla prima produzione. Un processo che dovrà essere incentivato, coordinato ed accelerato se si vorranno evitare interruzioni di fornitura, prezzi volatili e interferenze geopolitiche. Qualche avvisaglia si è vista nei giorni scorsi, con i produttori di auto in difficoltà sui microprocessori (troppo rapida la ripresa della domanda post-lockdown) e il prezzo del rame ai livelli più elevati dal 2011. Ma sembra solo l’inizio.