Corriere della Sera, 9 maggio 2021
Sull’eterna contesa per Gerusalemme
Qualche giorno fa il presidente della Palestina, Mahmoud Abbas, ha annunciato nuove elezioni: una buona notizia per uno Stato riconosciuto dall’Assemblea dell’Onu nel 2005 dove il voto potrebbe servire a sciogliere democraticamente il nodo creato dai contrasti di due partiti, Hamas e Fatah, che si contendono il potere. Ma pochi giorni dopo, Abbas ha posticipato le elezioni e ha dichiarato che avranno luogo soltanto quando gli arabi di Gerusalemme potranno votare. Israele controlla i quartieri in cui abitano e qualche giorno prima aveva effettivamente annunciato che agli arabi della sua zona, conquistata durante una guerra contro la Giordania, non sarebbe stato permesso di partecipare al voto.
Può uno Stato privare del diritto di voto i cittadini di un altro Stato? Questo è l’ultimo episodio di una vicenda che comincia fra il 19 e il 26 aprile 1920 a Sanremo, dove i vincitori della Grande guerra (fra cui l’Italia) si erano riuniti per la spartizione dei territori appartenenti a uno Stato sconfitto (l’Impero Ottomano).
Fu deciso che la Palestina sarebbe stata affidata all’amministrazione della Gran Bretagna che tre anni prima, nel 1917, ne aveva già implicitamente deciso le sorti con una lettera inviata dal suo ministro degli Esteri, Lord Balfour, a Lord Rothschild, considerato allora il maggiore esponente della comunità ebraica inglese. Gli diceva che il suo Paese «guardava con favore alla creazione di una dimora nazionale per il popolo ebraico». La decisione dette soddisfazione agli ebrei, ma non piacque ai molti arabi che vivevano da tempo in quelle regioni. Vi furono parecchi conflitti e fu necessario attendere la fine dell’Impero britannico, dopo la Seconda guerra mondiale, perché la Palestina venisse divisa fra due Stati: uno per gli arabi e l’altro per gli ebrei. Ma ciascuno dei due voleva la stessa capitale: Gerusalemme. Gli arabi perché nella città vi è la Cupola della Roccia, un santuario musulmano da cui Maometto, secondo il Corano, sarebbe asceso al Cielo; gli ebrei, perché custodisce il Muro del Pianto, tutto ciò che rimane del Tempio ebraico distrutto da un imperatore romano (Tito) nel 70 d.C. e ancora oggi meta di pellegrinaggi; i cristiani infine per il Santo Sepolcro e altri memorabili luoghi del Nuovo Testamento. Balfour lo aveva previsto e nella lettera a Rothschild, dopo avere annunciato il suo sostegno al futuro Stato ebraico, aveva scritto: «Purché questo non pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche che già esistono nella regione».
Questa comune rivendicazione delle tre religioni abramitiche nuoce ancora occasionalmente alla pacifica convivenza dei popoli. Fortunatamente i laici, quando devono intervenire come arbitri, ricordano che Gerusalemme è per tutti l’indiscussa patria del monoteismo.