Anteprima, 12 aprile 2021
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Biografia di Jovan Divjak
Jovan Divjak (1937-2021). Militare. Serbo-bosniaco, da generale aveva difeso Sarajevo durante il lungo assedio della città avvenuto nella guerra in Bosnia negli anni Novanta. Era stato uno dei pochi bosniaci di etnia serba ad aver scelto di combattere nell’esercito bosniaco e di difendere l’idea di una Bosnia multiculturale. «Era stato della guardia personale di Tito, era nato a Belgrado ed era serbo, e quando i serbi assediarono Sarajevo decise di diventare il traditore, di guidare la resistenza di Sarajevo per le sue chiese ortodosse, le sue moschee, le sinagoghe, le etnie conviventi in uno scandaloso meticciato e che facevano di Sarajevo, agli occhi dei nazionalisti, la città bastarda. Scelse di essere bastardo e di stare coi bastardi perché vedeva il mondo al contrario, e pensava che gli uomini sono tutti uguali, e ucciderli per la loro fede e la loro nazionalità è la barbarie» [Mattia Feltri, Sta] • «Lasciati i gradi – ma era ancora “il generale” per eccellenza, “legenda” – aveva dedicato la sua formidabile energia e il suo prestigio all’assistenza e all’educazione degli orfani di guerra e dei minori più bisognosi. La sua associazione, “Obrazovanje Gradi BIH”, “L’istruzione costruisce la Bosnia-Herzegovina”, ha aiutato migliaia di bambine e bambini e adolescenti di ogni origine (compresi i rom, i più abbandonati nella guerra dei razzismi nazionali), contrastando il delirio di un paese, disegnato dall’accordo di Dayton 1995 che mise fine alla guerra ma non procurò la pace, in cui ogni cantone e perfino ogni quartiere ha il proprio ingordo manuale di storia e i propri monumenti, nemici della storia e della memoria degli altri. Un uomo come lui, militare di formazione, cavalleresco per temperamento, aveva dovuto assistere impotente alla consumazione dello sterminio genocida di Srebrenica: la Srebrenica che Dayton ha lasciato dentro i confini della Republika Srpska. Nel 2011 l’odio irriducibile del governo di Belgrado per il “traditore” fece emettere un mandato di cattura internazionale contro Divjak, accusato di crimini di guerra, e la polizia austriaca troppo compiacente lo arrestò all’aeroporto di Vienna dove faceva scalo alla volta di Bologna. Fu incarcerato e poi messo agli arresti, e liberato solo dopo quattro mesi, riconoscendo infondata e calunniosa l’accusa. Si misurò allora quanto Sarajevo amasse quel suo cittadino, che l’aveva scelta. Anche in Europa ci fu una forte protesta, soprattutto in Italia e in Francia, i paesi da lui più amati e frequentati, quelli dove era uscita la sua memoria dell’assedio, Sarajevo mon amour, scritta con Florence La Bruyère, nel 2004, e in italiano nel 2007, tradotta dal suo amico Gianluca Paciucci e introdotta da Paolo Rumiz per l’editore Infinito» [Adriano Sofri, Foglio].