13 aprile 2021
Tags : Silvio Muccino
Biografia di Silvio Muccino
Silvio Muccino, nato a Roma il 14 aprile 1982 (39 anni). Attore. Regista. Sceneggiatore. Scrittore. «Forse oggi sono finalmente io» • Terzo e ultimo figlio, dopo Gabriele (1967) e Laura (1969) – rispettivamente regista e direttrice di provini cinematografici –, dell’ex dirigente della Rai Luigi Muccino e della pittrice ed ex costumista Antonella Cappuccio. «Credo che il mio cinema e quello di mio fratello Gabriele […] siano stati influenzati dall’arte di mia madre. […] Sono cresciuto guardando quelle immagini, che hanno influenzato me e Gabriele quando ancora giocavamo con i colori». «Quando si è scoperto attore? “Il mio arrivo al cinema è stato non convenzionale. Mio fratello Gabriele, il regista, che ha quindici anni più di me, mi ha chiamato perché aveva pensato di scrivere un film sugli anni del liceo. In quell’occasione io non avevo fatto che parlare di me, e Gabriele ne ha tirato fuori il personaggio che è diventato poi il protagonista del film Come te nessuno mai. Mi ha fatto quindici provini per vedere se lui era capace di dirigermi e se io ero adatto al ruolo”» (Alain Elkann). «“Il cinema mi ha liberato. Gli anni del liceo sono stati i più brutti della mia vita, mettevo una maschera per farmi accettare: lo scemotto preso in giro da tutti, donne neanche l’ombra. Come te nessuno mai mi ha fatto sentire me stesso per la prima volta. […] Poi mi sono fermato: dovevo andare a scuola, e avevo paura di non saper andare avanti senza mio fratello. Sono rientrato nei panni di studente, al liceo Mamiani di Roma”. Da star. “Stavo più sulle scatole di prima. Avevano quel modo di guardarmi malizioso, carico di invidia. Non volevo perdere neanche un momento in più lì dentro”» (Paolo D’Agostini, nel 2004). Col tempo, però, il giudizio di Muccino riguardo alle sue prime esperienze cinematografiche è divenuto più critico. Nel 2015, infatti, dichiarò ad Arianna Finos: «Avevo quindici anni, età in cui sei sui banchi di partenza e tutto è possibile. Ho avuto la fortuna di trovarmi dentro il cinema, una meraviglia a doppio taglio. Perché ti presenti al mondo prima ancora di capire chi sei, cosa ti piace. A un certo punto l’immagine ti fagocita: se non ritagli tempo per te, rischi di entrare in una gabbia. Mi offrivano solo ruoli da adolescente o ex adolescente in commedie da grande pubblico. Non volevo restare l’eterno Peter Pan. I “no” che dicevo mi erano necessari. Ho anche rifiutato il ruolo di poliziotto maledetto che mi ha proposto un grande regista: aveva più fiducia in me di quanta ne avessi io. Non mi sentivo pronto. […] Ciò che avrei voluto, in un certo momento della mia vita, era essere più invisibile, meno esposto. A quindici anni è un’esperienza forte l’essere preso e messo davanti alla macchina da presa, davanti a tutti. Ed è sana la possibilità di startene nella tua cameretta, protetto dal mondo. Non a caso poi nella vita ho cercato quella condizione. La chiamo intimità». «Ripercorriamo la sua carriera. Da Come te nessuno mai. “La cosa più inconsapevole della mia vita. Tutta l’esperienza, dal primo giorno di set all’uscita alla Mostra di Venezia, è stata un’ubriacatura, una festa costante”. E poi? “Mi sono montato la testa. Riatterrare nella realtà è stato difficilissimo”. Come c’è riuscito? “Grazie alle mie amiche del liceo, Alessandra e Giulia. Vedevano la fatica con cui mi relazionavo al successo. Con i miei amici ero io; fuori dal quartiere ero Silvio Muccino, nel bene e nel male, perché c’è chi mi detesta”. Il set di Ricordati di me? “Meno festoso. Un film con attori importanti. Io ero più grande. Avevo paura. Ho provato un primo senso di smarrimento vero rispetto a questo lavoro, alla macchina che si muoveva intorno a me. Poi c’è stata l’esperienza divertentissima di Il cartaio. Diciannove anni. Un film d’azione, recitato in inglese. Dario Argento è un bimbo mai cresciuto che mi ha fatto riscoprire il gioco del cinema”» (Finos). «“Poi ho iniziato a scrivere con Giovanni Veronesi, Enrico Caria e Andrea Garello la sceneggiatura di Che ne sarà di noi, che poi ha diretto Veronesi. Per me è stato un po’ come il mio esame vero di maturità”. È stato promosso? “Credo di sì. Era la prima volta che dicevo qualcosa che veniva da me. Il film è un lavoro collettivo”» (Elkann). «Il soggetto era mio. Il liceo era finito, ma la mia vita doveva ancora cominciare, né carne né pesce: ho raccontato questo momento, quel viaggio di post-maturità parla della paura del futuro. […] Aurelio De Laurentiis ha avuto la buona idea di affiancarmi a un regista come Veronesi. Io ero troppo dentro ai problemi di questi tre ragazzi. […] Veronesi ci ha aggiunto il distacco, l’aria leggera di commedia». «Che ne sarà di noi è stato un viaggio della maturità in Grecia a spese di De Laurentiis, con Elio Germano, di cui già si capiva il talento. Manuale d’amore, malgrado la popolarità assurda, è stato un film di passaggio». Importante, nella sua formazione artistica, il ruolo di coprotagonista – oltre che co-sceneggiatore – assegnatogli da Carlo Verdone ne Il mio miglior nemico (2006): in tale pellicola il regista «mi ha affidato per la prima volta un personaggio più sfaccettato del solito Peter Pan. Mi ha permesso di affacciarmi a un altro me stesso, e mi ha fatto cambiare direzione. Gliene sarò sempre grato». «“Il mio miglior nemico è il film a cui voglio più bene”. Perché? “Nemmeno se mi volesse Woody Allen proverei il trasporto emotivo di quando mi ha chiamato Carlo Verdone. L’anno prima citavo a scuola le sua battute, poi ero lì con lui”. Verdone dice che lei gli metteva disordine e svuotava il frigo. “Ero eccitato come un cucciolo di labrador. Mi comportavo come tale. Ho imparato tanto”» (Finos). Successivamente Muccino è passato alla regia, dirigendo e interpretando tre pellicole, di cui ha anche scritto le sceneggiature a quattro mani con Carla Vangelista: Parlami d’amore (2008), Un altro mondo (2010) e Le leggi del desiderio (2015). «Parlami d’amore? “Un salto nel vuoto. Dopo Il mio miglior nemico sentivo l’eco di Peter Pan. Carlo mi aveva permesso un salto in avanti. In quel periodo ho incontrato Carla Vangelista e Luca Di Fulvio per un progetto che non si è fatto. Parlando con Carla è nata la storia di Parlami d’amore. Scriviamo il libro, che fa il botto. Faccio il film. Un pieno di emozioni. Avevo ventitré anni. Poi la vita ha iniziato a bussare alla porta”. Paura dell’insuccesso? “Moltissima. Mi ha salvato l’idea di pensare non al mese dopo, ma a vent’anni dopo. Proprio come in Che ne sarà di noi. […] Il periodo tra Parlami d’amore e Un altro mondo è stato uno dei momenti più duri e felici. Prendermi un cane mi è sembrata la cosa più rivoluzionaria da fare. Avere una cosa in carne e ossa che se non la portavo fuori mi faceva la cacca sul tappeto. È stato un momento in cui il cinema è uscito di scena: sono entrato in scena io. Un altro mondo è stato il mio film meno visto, ma quello di cui sono più orgoglioso. In quel momento la chiamata ai vecchi personaggi Peter Pan era dietro l’angolo: mi sono imposto di fermarmi. Girando Le leggi del desiderio mi sono divertito come al luna park”. […] Che film è? “Una commedia romantica sul modello anglosassone. Un film di sano intrattenimento, ma con un cuore e le musiche jazz di Peter Cincotti. Troppo spesso nel nostro cinema la parte comica si mangia quella umana”. Il film parte con il grande show del “life coach” che lei interpreta, a cui si affidano tre “cavie”. “Non c’è parola o gesto del mio ‘guru’ che non venga da riferimenti reali. Un giorno Carla Vangelista, la sceneggiatrice, mi mostra un video: ecco il tuo nuovo film. È lo spettacolo romano di Anthony Robbins, già mentore di Donald Trump, poi di Bill Clinton. Un uomo che riempie i palazzetti dello sport. Arriva con la musica, balla, prende le persone e le motiva. […] Invece di raccontare lo smarrimento collettivo dal punto di vista di chi vive la crisi, ho scelto quello di chi dice di avere in tasca la chiave per uscirne”. Le “cavie” sono una casalinga che scrive in segreto romanzi erotici, un anziano venditore disoccupato, l’amante trascurata del capo ufficio. “Sono storie emblematiche che rispondono in modo diverso alla domanda: quali compromessi siamo disposti a raggiungere per ottenere ciò che desideriamo? Maurizio Mattioli è l’uomo qualunque che lotta per arrivare alla fine del mese e non si arrende alla vecchiaia. Carla Signoris combatte la battaglia per essere vista e accettata nella sua complessità. Nicole Grimaudo è il folle che rovescia il gioco e toglie la maschera al guru, svelandone fragilità e cialtroneria”» (Finos). Insieme alla Vangelista ha inoltre firmato due romanzi, Parlami d’amore (Rizzoli, 2006: il libro alla base dell’omonimo film) e Rivoluzione n. 9 (Mondadori, 2011). «Rivoluzione n. 9 tocca un tema contemporaneo: la voglia di cambiamento dei giovani nonostante la paura. “Con Vangelista abbiamo messo a confronto due generazioni. Non c’è metafora migliore del cambiamento possibile che quella dell’adolescenza. Sofia e Matteo vivono nello stesso appartamento a 40 anni di distanza. Sono due rivoluzioni opposte. Lei vive il ’68 e sente di avere un futuro, lui può solo sperare di cambiare dentro per stare meglio”. […] L’appartamento del libro esiste davvero, ed è dove con Carla Vangelista avete scambiato per anni idee e musica (Rivoluzione n. 9 fa riferimento alla canzone dei Beatles e alla Nona di Beethoven). “È il mio appartamento, dove con lei ci vediamo per lavorare e costruire i nostri film e libri. Io sono molto legato alle case. E mi è piaciuta l’idea che il personaggio pauroso di Matteo trovasse un dialogo ideale, che poi è ciò che lo scardina dalla sua vita, con un’adolescente che ha abitato la stessa camera 40 anni prima”. Raro che due scrittori di così differente età lavorino insieme. “Vangelista è molto più grande di me, ma pure più adolescente e leggera. Ho sempre amato il confronto con persone più grandi: mio fratello, Giovanni Veronesi, Carlo Verdone. Con Carla c’è un’affinità: siamo sempre d’accordo sul cuore delle storie, ma con punti di vista diversi. […] A quasi 30 anni mi sono fermato per domandarmi attraverso questo libro se ho vissuto a pieno l’adolescenza”» (Francesco Rigatelli). Al 2017 risale la sua ultima interpretazione, in The Place di Paolo Genovese, nei panni di un giovane spacciatore e rapinatore. Al 2018 il suo ultimo romanzo, nonché il primo scritto interamente da lui, Quando eravamo eroi (La nave di Teseo). «Nel libro racconta la storia di cinque amici che si ritrovano nella casa dove da ragazzi hanno vissuto le emozioni più intense e indimenticabili della loro vita. Gli Alieni, si fanno chiamare. […] Da dove nasce l’idea per questo libro? “Me l’ha suggerita Carla Vangelista, a cui inizialmente era stata richiesta la sceneggiatura di un film. Mi ha incoraggiato a svilupparla, perché si tratta di una storia che appartiene alla mia generazione. Ma ho capito subito che un libro mi avrebbe garantito più libertà di un film nel raccontarla”» (Rosa Maiuccaro). «Erano cinque amici inseparabili al bar dell’adolescenza, dove si brinda sempre al futuro di coerenza, ma poi la vita sbrindella, divide le sorti, cambia le parti. Il tormentato Alex sparisce senza spiegazioni, tradendo gli altri, lasciandoli disorientati, e torna dopo 15 anni, li convoca nella vecchia casa di campagna in Umbria per un annuncio scioccante che porterà a nuove metamorfosi. […] Silvio Muccino […] ha più o meno l’età del suo protagonista, e come lui qualche anno fa ha mollato tutto, non per Amsterdam ma per la campagna tuderte, un trasloco anche mentale dopo brutte vicende familiari. […] Dopo due libri da coautore (Parlami d’amore e Rivoluzione n. 9, scritti a quattro mani con Carla Vangelista), questo è il suo primo romanzo. Un esordio a 36 anni. Fa paura? “Non c’è niente di più bello: non hai carichi di responsabilità, nessun precedente su cui misurarti. È un’emozione che se potessi ricercherei ogni due giorni”. Chi sono i suoi Alieni? “Cinque ragazzini non convenzionali che vivevano in una loro bolla, indipendente dal mondo. Da adulti patteggiano tutti con la vita, tranne Alex, che invece di cercare l’approvazione negli altri, la cerca in se stesso e trova un coraggio da leone. È un messaggio importante anche per la generazione dopo la mia, cresciuta con i social, preoccupata a mostrare la versione migliore di sé per avere il consenso degli altri”. E lei è stato un alieno? “Il vero Silvio era un classico sedicenne con walkman, non inserito e con pochi amici. Il Silvio pubblico era l’immagine dell’integrazione, i ragazzi mi scrivevano che avrebbero voluto essere me. I due me non combaciavano. Il cinema fa questo: ti fotografa e diventi quell’immagine”. […] I personaggi fanno la rimpatriata in Umbria, dove lei si è ritirato. Come passa le giornate? “Non ho imparato a coltivare l’orto o roba simile. È un casale pieno di cani, con un pianoforte che suono volentieri e un viavai di amici. Il paese è grande quanto il quartiere dove sono nato a Roma. Lì non sono Silvio Muccino: sono solo uno che va a fare la spesa. E al bancomat incontro tanti ‘famosi’ che non sapevo avessero fatto la mia stessa scelta. Una scelta fortunata, se in poco tempo ho scritto già due libri”. Il secondo? “La disobbedienza, che dovrebbe diventare una trilogia [attualmente con quel titolo risulta solo una sceneggiatura, del 2020 – ndr]”. Quindi il futuro è da scrittore? “Prevale il desiderio di stare dietro le quinte invece di mettermi in mostra, poi certo se arriva la proposta di un film bello come The Place non posso rinunciare. Posso cambiare idea, che non vuol dire tradire. Alex è autentico solo nel cambiamento, e David Bowie, che è il faro di questo libro, è il re dei mutanti sempre fedele a se stesso”» (Simona Orlando). Prossimamente dovrebbe tornare sul grande schermo in Security di Peter Chelsom. «“Stavo aspettando il film giusto, e adesso l’ho trovato”. […] Il piccolo di casa Muccino […] è nel cast di Security, thriller di Peter Chelsom, regista tra l’altro di commedie come Serendipity e Shall We Dance?. […] Silvio chiarisce di non avere nessuna regia in vista e di essere concentrato sulla sua nuova prova attoriale, la prima in un thriller, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen Amidon (lo stesso autore de Il capitale umano, da cui Paolo Virzì ha tratto il suo film del 2013)» (Antonella Piperno) • Celibe, e molto riservato riguardo alla propria vita privata. «Qual è la sua idea di amore? “È uccidere una parte di noi per fare spazio all’altro: dimezzarsi per diventare interi. L’uomo è forse più egoista nel non voler cedere nulla di sé, arroccato nel bisogno di bastarsi a ogni costo, perché non accetta la sua parte femminile, che sa accogliere oltre che prendere. La consideriamo debole, quando in realtà è ciò che ci rende forti”. Pensa mai a dei figli? “No. Per ora no”» (Raffaella Silipo, nel 2018). Quindici anni prima, nel 2003, aveva dichiarato: «Sono certo di una cosa: sarò fedele, ma non mi sposerò» • Rapporto molto conflittuale con il fratello Gabriele, che ha spesso parlato in pubblico di un suo presunto plagio da parte della scrittrice e sceneggiatrice Carla Vangelista (donna di ventotto anni più grande, con la quale, secondo voci insistenti sempre smentite dai due, Silvio Muccino avrebbe avuto una relazione), che l’avrebbe allontanato dalla famiglia: tesi sempre respinte dal diretto interessato («Carla Vangelista […] ha avuto la sfortuna di incontrarmi in un momento in cui stavo prendendo consapevolezza di certe cose: solo per questo […] è diventata il capro espiatorio»), secondo il quale invece «Gabriele conosce benissimo i motivi del mio allontanamento e sa che riguardano gravi episodi vissuti nella mia infanzia all’interno del nucleo familiare: episodi di cui non parlo per decoro e per non nuocere alla mia famiglia». Nel 2016, dopo le ennesime esternazioni pubbliche del fratello maggiore, Silvio Muccino passò al contrattacco, sostenendo in una trasmissione televisiva che il celebre regista avrebbe più volte aggredito fisicamente l’ex moglie Elena Majoni, giungendo persino a perforarle un timpano con una sberla: in seguito a tali dichiarazioni, peraltro corroborate dalla stessa Majoni, Gabriele Muccino querelò per diffamazione il fratello minore, salvo poi, nel gennaio 2020, alla prima udienza del processo, ritirare la querela, componendo così la lite sul piano giudiziario. «La sua famiglia è consapevole dei problemi? “Certo, sarebbe impensabile altrimenti. Se non bastassero le parole, ci sono le e-mail, i messaggi. Prima del silenzio, c’è stato un lunghissimo scambio”. Eppure dicono di non sapere perché lei è scomparso dalle loro vite. “Quando non si vuole accettare una realtà scomoda, la si cancella e si cerca un colpevole esterno”. […] Una volta lei disse che da bambino è stato il collante della sua famiglia: i genitori stavano per separarsi quando lei è nato, Gabriele e sua sorella Laura litigavano. È lei che ha tenuto insieme tutto. “Responsabilità eccessiva per un bambino”» (Marina Cappa). «Nessuna famiglia è in assoluto felice o infelice. Alcune riescono a trovare armonia al loro interno, altre no, e i loro componenti hanno bisogno di emanciparsi per trovare l’armonia individualmente. Io appartengo alla seconda categoria, il che non vuol dire che non ami la mia famiglia. Le voglio bene, ovviamente, ma siamo andati per strade diverse» • Si definisce «una persona schiva, un vero orso. «Sono sempre stato un porcospino, poco aperto alla condivisione piena. Mi sono sempre tenuto sul ciglio delle cose, anche se dai 16 anni sono stato catapultato nello showbiz. Avevo successo, ma alle feste del cinema romano non mi trovavi mai, per dire. Ora […] il mio rapporto con le persone si è trasformato, ho accettato di condividere. E se ti apri ti arriva una risposta straordinaria. Sto incontrando tante persone che si aprono a me, grazie a ciò che ho scritto, […] e non mi sono mai sentito così a mio agio. Credo sia la conseguenza di aver ridimensionato, anzi ritarato la mia geometria vitale. Questo senso di rinascita è una bellissima sensazione, è la prima volta che mi succede. Non mi sono mai sentito così a fuoco» (a Boris Sollazzo) • «Cosa legge? Quale musica ascolta? Quali sono i film che ama? “Scelgo i libri, come la musica o i film, in base a ciò di cui ho bisogno. Passo dai Radiohead a Bach, e lo stesso faccio con i libri”» (Silipo). «Il suo libro preferito è Martin Eden di Jack London» (Rigatelli) • «Occhi trasparenti e […] capelli scarmigliati da eterno ragazzo» (Silipo) • «Lei ha alternato momenti di successo ad altri in cui si è messo da parte. “Le onde, me le sono fatte tutte. Non so se la scelta di mettermi da parte sia stata un bene o un male. È un lusso che mi sono concesso in questi anni. Non c’è un film che ho fatto in cui non riconosca un’adesione assoluta”» (Finos). «Quando ha iniziato a recitare, si sentiva addosso una maschera? “Quella di Peter Pan. La gente mi ha amato in quel ruolo, non volevano che crescessi: dovevo essere Peter Pan a vita. La mia scommessa è stata trovare un modo per sfilarmi la maschera”. È stato difficile? “Il cambiamento non piace, è rassicurante vedere le cose sempre uguali. Ma non cambiare mai è contro natura”. In questi anni di evoluzione personale, che cosa ha fatto? “Ho detto ‘no’ a lavori che mi avrebbero riportato su strade già battute. E mi sono permesso il lusso di conoscermi, ho dato la precedenza alla vita. Nel cinema spesso la vita resta in panchina, perché insegui set dopo set, hai il panico del vuoto. Invece, silenzio, immobilità e invisibilità sono stati i miei grandi alleati: mi hanno permesso di capire chi sono, che cosa voglio”» (Cappa). «Che cos’è il successo per lei? “Nel cinema, quando si trova un doppiatore con voce e aspetto identico all’attore, si dice ‘voce-volto’. Ecco, ho sempre pensato che il successo fosse il raggiungimento di quella condizione in cui tutto combacia perfettamente. Quando ciò che sei e ciò che fai si esprimono in perfetta armonia. Quando quello che dici è sincero e tutti ti capiscono. Il fallimento è il suo opposto, non per forza negativo. È il momento della ricerca, in cui la voce non corrisponde ancora al volto, in cui magari non sei ancora perfettamente a fuoco perché stai cambiando e la gente non ti capisce. Ma è necessario per giungere a un nuovo compimento. Per questo le due cose inevitabilmente si alternano. Un artista, se lo è davvero, si trasforma continuamente”. […] Cosa le riesce più facile: scrivere, recitare, dirigere? “Mi piace esprimermi e provocare emozioni. A volte è bello e divertente insieme ad altri, come nel cinema, altre è necessario farlo da soli, e la scrittura permette questo lusso”» (Silipo). «Ha capito cosa vuole fare da grande? “Voglio raccontare delle storie, che sia attraverso il cinema o la letteratura. Quello è il mio obiettivo primario, e mi interessa forse anche più della recitazione”» (Maiuccaro).