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 2021  maggio 08 Sabato calendario

La bicicletta tra filosofia, tecnica, letteratura. Da Barthes a Coppi


Il progresso cammina su due ruote. Mentre su quattro gattona. Proprio come un bambino che non riesce a mettersi in piedi perché non ha ancora trovato il suo equilibrio. Ecco perché la bicicletta segna il culmine dell’evoluzione. In sella l’uomo va quattro volte più veloce del pedone, consumando però un quinto dell’energia, diceva il filosofo Ivan Illich, che considerava la bici l’esempio più perfetto ed efficiente della sintesi uomo- macchina. Se poi si aggiunge che pedalare fa bene alla salute propria e a quella dell’ambiente, viene quasi da dar ragione a Greta. Ma soprattutto viene spontaneo sottoscrivere riga per riga le parole di A ruota libera, l’entusiastico ed entusiasmante elogio della bici uscito dalla penna di David Le Breton, professore di sociologia all’Università di Strasburgo e acuto osservatore della società contemporanea.L’autore sgombra subito il campo da ogni equivoco. Per lui il vélo, come dicono i francesi, non ha nulla a che fare con le sue protesi statiche come la cyclette. Su cui si pedala senza muoversi di un millimetro, ascoltando news in cuffia e rispondendo alle mail. Un’immagine in cui riverberano come lampi distopici, i versi degli Hallow Men, gli uomini vuoti di T.S. Eliot, «Figura senza forma, forza paralizzata, gesto privo di moto».Al contrario la bicicletta è libertà, leggerezza, duttilità, mobilità, fisica e sociale. Sin dai primordi, l’apparire delle due ruote trasforma il rapporto tra il corpo e lo spazio. Lo rende al tempo stesso più rapido e più sensuale. Fa entrare il paesaggio in noi attraverso una multisensorialità amplificata dalla velocità. L’opposto dell’auto, dice Le Breton, perché in macchina non si passeggia ma si va o, meglio, si circola. La bici, invece, genera una vera e propria poetica dell’andare. È una manifestazione di quello che Heidegger definiva «abitare poeticamente la terra». Una vera e propria ciclosofia, un modo di vivere, di pensare e di sentire che oltre tutto non ha stagioni anagrafiche, non fa eccezioni tra generazioni. Anzi! Segna addirittura la rivincita della vecchiaia visto che i pedali consentono di andare contro tempo e contro il tempo, perché sollecitano muscoli diversi rispetto al camminare rendendo possibile una velocità impossibile al passo. E oltre che alla terza età, le due ruote fanno bene anche al secondo sesso. Visto che contribuiscono in maniera decisiva alla liberazione delle donne dal controllo familiare, comunitario, sociale. Al punto che a fine Ottocento gli strali di moralisti e benpensanti si scagliano contro le prime cicliste. In nome dell’igiene e del buon costume. A far paura è soprattutto la lascivia che verrebbe indotta dal mezzo, in grado di scatenare una sessualità intensa e solitaria. Sottraendo quote di godimento ai mariti che ne sarebbero i soli legittimi detentori. Il bacchettonissimo medico francese Ludovic O’Followell arriva a sostenere che pedalare condurrebbe alla ninfomania e all’isteria. Per cui consiglia agli uomini di non far conoscere mai il piacere alle donne, per evitare che si autonomizzino e vadano a cercarselo in sella. Insomma, un terremoto dei costumi. A controbilanciare queste idiozie e pruderie per fortuna scendono in campo pezzi da novanta della cultura, come il grande Emile Zola. E Alfred Jarry, padre della patafisica. Ma evidentemente anche della ciclofisica, visto che ai funerali del veneratissimo poeta Stéphane Mallarmé, anche lui femminista e fanatico delle due ruote, Alfred partecipa in divisa da ciclista inforcando il suo vélo. Entrambi rigorosamente neri.In realtà le due ruote favoriscono una dinamizzazione, oltre ad un’erotizzazione, dell’esistenza che rottama definitivamente il cavallo e insieme a lui la cavalleria. Cioè l’ordine morale e simbolico di un mondo a quattro zampe con tutti i suoi rituali paternalisti e virilisti. E che alla bici venga attribuito un alto potenziale sovversivo lo prova il fatto che Papa Pio X la proibisce ai preti, perché contraria alla dignità e alla solennità del sacerdozio. Solo dopo la Grande Guerra parroci e curati cominciano a pedalare come tanti Don Camillo. Da allora il popolo fa delle due ruote un mezzo di locomozione e uno strumento di promozione sociale. Sono gli anni di film epocali come Ladri di biciclette e di Bellezze in bicicletta. Non a caso le gesta dei campioni come Gino Bartali, Fausto Coppi, Louison Bobet e Jacques Anquetil, tutti di umili origini, diventano protagoniste di una vera e propria epica. Che scomoda l’Iliade, come fa Dino Buzzati quando paragona la vittoria di Coppi su Bartali a quella di Achille su Ettore. Ma anche l’Odissea, che Roland Barthes vede rivivere nella faticosa ascensione al Mont Ventoux dove i corridori vanno oltre le colonne d’Ercole delle possibilità umane. Poi è venuto il doping e ha liquidato gli eroi. Ai nostri giorni la bici conosce una nuova giovinezza e continua la sua rivoluzione con altri mezzi, mettendo due ruote all’ecologia. La nuova Terra promessa è attraversata da piste ciclabili. Che proiettano il passato nel futuro. Forse perché il vélo rappresenta quel punto di equilibrio avanzato in cui la civiltà, per essere veramente tale, deve scegliere di frenare la sua corsa. È il progresso che si mette in surplace.