Robinson, 8 maggio 2021
Laura Lippman ricostruisce un pezzo di America degli anni Sessanta
Non sono appassionato di gialli, tutt’altro. Detesto le storie ambientate nelle redazioni giornalistiche, trovandole per lo più inverosimili. Rifuggo dalle protagoniste “casalinghe disperate”. E soltanto alla voce narrante di Viale del tramonto ho mai concesso la modalità “morto che parla”. Perché dunque non mi sono allontanato subito dalla Donna del lago di Laura Lippman, definito in copertina “un mistery”, in cui una divorziata passa dai tagli di stoffe Marimekko a una improbabile carriera da cronista, alla soluzione di due casi al prezzo di uno, introdotta dalle parole («una volta ti ho vista. Io ho visto te, e tu hai notato me») di una delle vittime? Escludo sia stato l’apprezzamento di Stephen King in quarta («mai letto un doppio colpo di scena come questo») o il fatto che Apple ne trarrà una serie tv. Esiste, piuttosto, una sorta di “presentimento da lettore”, che resiste contro ogni apparenza o evidenza.
La donna del lago è un titolo già visto, la scrittura non è alta, il genere è commerciale. Eppure ha qualità: nella forma e nel contenuto. A colpire è anzitutto la staffetta di voci narranti che porta avanti la storia. Esiste una esposizione principale, in terza persona, che a ogni capitolo cede il passo alla testimonianza di personaggi laterali, appena incontrati e destinati a non riapparire, che svelano un prima o un dopo. L’effetto è quello di allargare il campo, la visione, di ricostruire un’America, o almeno una Baltimora, negli Anni Sessanta. Arrivano i rumori di fondo, i sussurri del coro, i turbamenti che avrebbero fatto la storia, la politica, la vita a venire. Raccontano due scomparse o, come ci ha insegnato Andrea Camilleri con il suo Patò: due sparizioni. La prima riguarda una bambina bianca di undici anni. La seconda una giovane nera intorno ai venti. Inutile aggiungere che la prima fa molto chiasso, la seconda è ovattata, risuona solo nell’ambiente di provenienza, affiora sulle pagine del giornale AfroAmerican, ma non va oltre il trafiletto nei tre principali quotidiani locali, neppure in quello in cui finirà a lavorare Maddie, la protagonista.
È lei a trovare il primo cadavere e a intestardirsi per dare una spiegazione al secondo. Lei a circuire il primo assassino, scrivendogli e inducendolo a rivelarsi e a rivelare un complice, conquistando così un posto allo Star, ma solo come assistente del pigro addetto alla posta dei lettori. Vuole altro, e il secondo delitto è la sua occasione, ma anche molto di più. Qual è il cuore di questo romanzo? La verità su due fatti di cronaca (realmente accaduti) a Baltimora? Fuochino.
È la storia di un’emancipazione. Di una liberazione. Di una donna bianca che è ricca ma non felice, che ha interrotto la sua strada spaventata da un desiderio, da una natura non convenzionale in un mondo di tradizioni. Lascia il marito decidendo freddamente la data per farlo, come fosse un appuntamento dal dentista: il 30 novembre, a 37 anni e 20 giorni. Trasloca in un quartiere a rischio, ha una relazione esclusivamente notturna con un poliziotto nero, inizia a interessarsi di parole e significati quanto di capelli e scarpe.
Cerca il senso di sé, che alla fine è l’unica maniera disponibile per darne uno al mondo. Dobbiamo capirci. Fino in fondo. Maddie lo fa una sera, al cinema, da sola. L’uomo seduto a fianco le mette una mano sul ginocchio. «Avrebbe dovuto strillare e avvertire la maschera, tuttavia… l’uomo aveva un profilo gradevole… nessun impermeabile stazzonato, niente patta dei pantaloni aperta… fu allora che Maddie urlò. Non perché avesse paura, in effetti. A sconvolgerla era piuttosto la mancanza di paura». Capirci, darci un’etica, accettarci. Se possibile, perdonarci. E proseguire, crescere. Anche questo però deve essere possibile e al tempo una donna bianca e una nera non avevano certo (e ancora non hanno) uguali opportunità. Maddie si emancipa con l’indipendenza, il lavoro, il successo. Cleo ha una sola strada: l’amore, l’unione con un altro che la conduca lontano. Una fugge da ciò a cui l’altra va incontro. La prima si trova, la seconda si perde. La sua scelta è improponibile, va punita con la morte. Per questo scompare, diventando un mistero che interessa poche persone: i suoi genitori, i suoi bambini, un barista senza più nome che si era innamorato di lei. Il resto del mondo la dimentica o la rinnega. Tutti, tranne un’ostinata donna in cerca di carriera, di se stessa e di una storia da raccontare secondo il paradigma di E.M. Forster: «Null’altro che connettere la prosa con la passione, allora entrambe ne saranno esaltate e l’amore umano apparirà al suo culmine».
In un lago ci si specchia, la stessa faccia diventano due, quella sopra bianca, quella sotto nera: per poter sorridere il riflesso deve sparire.