Corriere della Sera, 8 maggio 2021
La strada di Ganna
TORINO Se la strada non si fosse mai interrotta e il Giro d’Italia numero 104 iniziasse come è finito l’ultimo, appena sei mesi fa, cioè con il marziano Filippo Ganna in trionfo nella crono di Milano, questo romanzo tutto da scrivere avrebbe già il suo eroe guascone e barbuto, pronto a spingere la fatica un po’ più in là. «E invece le gambe non possono sempre essere al cento per cento, soprattutto in una stagione olimpica, con così tanti obiettivi nel mirino. Spero davvero di non deludere nessuno: prendere la prima maglia rosa sarebbe importante».
Cresciuto a 150 km da qui, sulle alture del Verbano, Ganna è l’enfant du pays chiamato a divorare gli 8.600 metri di una cronometro piatta e veloce, che lancia il Giro dal Piemonte verso un’Italia che vede la fine del lungo tunnel della pandemia e ha voglia di celebrare, con distanziamento e mascherina, lo sforzo di 184 anime magre e coraggiose, un avamposto itinerante del ritorno alla normalità che tutti desideriamo. Pedalare per 21 tappe, lontano dalla Nutella e dalle tentazioni, fendendo l’aria con il naso: la vita che Filippo ha scelto da bambino preferendola alla canoa del padre Marco, azzurro olimpico ai Giochi di Los Angeles ‘84, è già la dannazione dalla quale sperava di restare lontano. «Mi piace pensare di essere un ragazzo normale, okay ho vinto il Mondiale ma è il mio mestiere, faccio il ciclista e cerco di andare forte, tutto qui». Però le aspettative non fanno sconti e Ganna, straordinario protagonista del Giro ottobrino 2020 posticipato dall’emergenza sanitaria a ruota dell’oro iridato di Imola, è l’uomo da battere. Scatterà da Piazza Castello alle 16,53 subito dopo l’oggetto misterioso Remco Evenepoel, in sella alla Pinarello nuova che ha voluto sgargiante e speciale («Ho chiesto una bici in grado di stupire, che non passi inosservata, con tocchi rosa per ricordare la crono dell’anno scorso a Palermo»), in testa la missione di staccare nell’arco di una dozzina di minuti Almeida, Cavagna e il baby Merckx, il trio della Deceunick che proverà a dare un dispiacere al granatiere (193 cm) della Ineos di capitan Bernal. «Cominciare bene sarebbe importante: la maglia rosa è un simbolo riconosciuto in tutto il mondo».
Il ricordo di sé, quel poker di tappe sbranate nel ruolo di gregario di Tao Geoghegan Hart (dirottato sul Tour) più le antiche sensazioni di un bambino incantato a bordo asfalto dallo spostamento d’aria del gruppo che passa («Il Giro è la corsa che sognavo di correre da piccolo, quando tornavo a casa da scuola in tutta fretta per mettermi davanti alla tv, o quando papà mi portò in strada ad aspettare Bettini»), potrebbe essere il carburante che Filippo insegue da un po’ in questa stagione cominciata bene a febbraio, con due successi all’Etoile de Bessèges e nella prova contro il tempo nel deserto dell’Uae Tour, poi messasi all’improvviso in salita: l’imbattibilità lunga oltre un anno infranta da Van Aert nella crono della Tirreno e poi un Romandia di lacrime e sangue, un’imbarcata di freddo e fatica da cui Filippo è uscito di pessimo umore.
Si è chiuso in se stesso, pochissima voglia di parlare, angoli della bocca all’ingiù. Non il solito Ganna simpatico e comunicativo, insomma, ma niente di drammatico, come spiega Dario Cioni, allenatore del piemontese e diesse Ineos: «Il Romandia non è andato come avrebbe voluto: è tornato incavolato, l’ho lasciato sbollire e poi abbiamo ricominciato a esaminare insieme le cose». La verità è che Filippo in Svizzera era carico di lavoro in vista di una stagione lunghissima, che gli chiederà di essere al picco della forma ai Giochi di Tokyo, dove tenterà la doppietta (crono e inseguimento a squadre). «Dopo la Sanremo abbiamo incastrato un grosso blocco di allenamenti: l’altura al Teide con Sivakov e la pista a Montichiari – racconta Cioni —. La speranza è che al Romandia recuperasse meglio ma era davvero molto affaticato. Però non sono preoccupato. Era tutto lavoro necessario da fare in vista dell’Olimpiade: i risultati a cui mirare sono tanti, bisogna fare delle scommesse». E poi quel dibattito che lo vede – suo malgrado – al centro: può Filippo Ganna diventare un corridore da grandi corse a tappe? «Una discussione che non lo aiuta, a Cancellara non abbiamo mai chiesto di snaturarsi» ha avvertito i naviganti il c.t. Davide Cassani. «Per me Filippo non deve diventare nulla che già non è – è il parere di Cioni —. Può essere un simbolo del ciclismo italiano anche senza conquistare Giro o Tour, ci sono altri traguardi, magari tra un paio d’anni ci concentreremo sulle corse da un giorno».
È con qualche scoria nel tascapane, insomma, rispetto alla solita leggerezza dell’essere Filippo Ganna, che oggi il ragazzo di Vignone imbocca il bivio del suo secondo Giro d’Italia della carriera. 3.479,9 chilometri per capire qualcosa in più di sé e ascoltare un po’ meno gli altri.