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 2021  maggio 08 Sabato calendario

Intervista a Riccardo Chailly


«La Scala deve essere una casa aperta ai migliori: orchestre e artisti. Quando sono arrivato, nel 2015, l’anno di Expo, s’è fatto subito un festival di grandi orchestre internazionali. Che dopo di noi, martedì, ci sia la Filarmonica di Vienna è coerente. Oltre a tutto “i Wiener” sono un’orchestra amica: io stesso la dirigerò in Scala tra un paio d’anni, e in un progetto discografico». Lunedì 10, per il ritorno del pubblico alla Scala il direttore musicale Riccardo Chailly ha ordito un programma-antologia speciale. A ricordare («a noi italiani spesso difetta la memoria storica») il 75esimo anniversario del concerto diretto da Arturo Toscanini nella Scala ricostruita a tempo di record dopo i bombardamenti. La locandina prevede tra Patria oppressa e Va’ pensiero sinfonie, preludi e arie di Verdi, Wagner, Purcell, Strauss e ?ajkovski; solista il giovane soprano norvegese Lise Davidsen. «Purtroppo altre ipotesi artistiche sono rimaste ipotesi», dice Chailly, «le garanzie su posti e date sono arrivate troppo tardi». Il concerto sarà registrato e trasmesso da Rai Cultura martedì 11 maggio alle 12 in streaming su RaiPlay e alle 16.45 in tv su Rai5.
Che legami con lo storico concerto, maestro?
«Toscanini scelse in maniera significativa un programma solo italiano. Noi abbiamo un impaginato eterogeneo, non “ricalcato”; che allude alla vocazione internazionale della Scala».
Simbolicamente come legge questo 75esimo?
«Ricostruzione allora, riapertura ora. Il nesso è chiaro: oggi tocca a noi ricostruire dopo mesi di silenzio».
Verdi avvia e chiude l’impaginato…
«Più che altro, aprono e chiudono coro e orchestra, cioè tutti i musicisti della Scala insieme: anche questo è un messaggio esplicito. E Va’ pensiero fu eseguito anche nel 1946».
Il binomio Scala/Toscanini cosa le suggerisce?
«Ammirazione e gratitudine.
Pensando alla statura artistica del maestro e a ciò che è stato per la storia scaligera. Ha creato una tradizione interpretativa che ci mette ancora soggezione».
Maestro Chailly, come vede il dopo-riapertura?
«Purtroppo, ancora in ostaggio dei numeri della pandemia. Il destino dei programmi di chi lavora in teatro è farsi e disfarsi».
Ma, intanto, c’è Macbeth per il 7 dicembre prossimo.
«Non posso non ricordare con rimpianto, e un po’ di rabbia, il periodo di preparazione di Lucia di Lammermoor, poi quello di Aida. In entrambi i casi abbiamo dovuto rinunciare all’ultimo momento a spettacoli già pronti».
Incrociamo le dita, quindi.
«Dobbiamo fare di tutto perché il prossimo 7 dicembre sia come una volta, e si apra con un’opera in scena».
Mai più streaming?
«Perché no? È stato importante, e lo sarà ancora, per aumentare la visibilità internazionale del nostro lavoro».
Tra qualche settimana, dopo il concerto di Daniel Harding, 17 maggio, e l’“Italiana in Algeri” del 25 la piattaforma costruita e spalmata sulla platea sarà tolta… «Ma prima, a giugno, registreremo con la Filarmonica un programma “italiano”: l’omonima sinfonia di Mendelssohn, le Ouverture “in stile” di Schubert e le tre sinfonie scritte da Mozart per le opere milanesi. Ho voluto a tutti i costi che rimanesse una testimonianza discografica del riverbero e suono unico dell’orchestra al centro del teatro».
Rimpiangerà quell’acustica?
«Un po’, certamente. Ma tutti noi non vediamo l’ora che la sala sia “riaperta” e rinasca, come era una volta, alla normalità».