la Repubblica, 8 maggio 2021
Processo alla critica
«Caro Merlo, perché i critici non dicono mai la verità?». Il dibattito, sì. La questione centenaria su ruolo e compiti della critica cinematografica è (ri)partita un paio di giorni fa dalle considerazioni di una lettrice nella rubrica delle lettere di questo giornale, missive che oggi si trasferiscono seduta stante sui social, dove si è scatenato un confronto serrato, anche ironico, tra critici e appassionati. La signora Giulia Acciarito ha visto Nomadland, grande vincitore di premi, dal Leone d’oro di Venezia ai tre Oscar, e lo ha giudicato «lento e deprimente, ma supponente e ricco di virtuosismi tecnici». «A mio suocero», scrive, «ha ricordato i film “impegnati” anni Sessanta: silenzi eterni, interminabili primi piani, imbarazzanti zoom sulle pietre». Terminava citando Fantozzi e la Corazzata Potëmkin. «Meglio di così non si poteva dire» ha risposto Merlo definendo la lettera una lezione ai “critici” «che hanno ormai una soggezione imbarazzante nei confronti di Oscar, Nastri, Leoni e Papere d’argento». Il giorno dopo nella rubrica Rita Stella suggeriva ai giornali di pubblicare una recensione pro e una contro. Merlo: «Il pro e contro è quasi sempre pilatismo. Mentre la stroncatura è la più vibrante promozione, perché analizzare un film significa ammettere che è insidioso e pericoloso, insomma vivo e merita tempo e attenzione». A volte, aggiunge, le recensioni sono «ammiccamenti ruffiani, imbrogli concordati contro lo spettatore».
Il dibattito si è infuocato con l’intervento di Franco Montini del Sindacato dei critici: tutte le opinioni sui film sono legittime, scrive, ma non è vero che Nomadland sia stato esaltato, «la media dei voti nelle pagelle del settimanale (e sito) Film TV è di 6,8 decimi: non si può parlare di soggezione verso i premi». Sui social la polemica ha suscitato decine di reazioni. C’è chi, come il critico Boris Sollazzo, si sente «indignato e tristemente divertito dalla crociata anti-critici. A me piacerebbe aprire un dibattito perché sono convinto che la critica cinematografica abbia varie sudditanze psicologiche, ma Merlo ha una posizione qualunquista e superficiale» e c’è chi evoca il sospetto che la signora Giulia Acciarito sia una sorta di Elena Ferrante di Merlo. «Mi sembra che si stia parlando a suocera perché nuora intenda, che Merlo stia mandando un messaggio a qualcuno usando questo scambio. Ma si tratta di una polemica che non entra nel merito di quello che la critica dovrebbe essere», dice il critico Paola Casella. «Speriamo – c’è chi ironizza sui social – che da tutta questa vicenda facciano un film. Ovviamente amato dalla critica, premiato con l’Oscar ma ahinoi stroncato dalla signora e da Merlo». Rileggendo la recensione del critico di Repubblica Emiliano Morreale, dopo il premio a Venezia, prima degli Oscar, ecco cosa scriveva: «Il Leone d’oro va a un film medio ma astuto, Nomadland, che sembra raccontare l’America di oggi, ma propone una vecchia retorica della frontiera». «Mi sembra una discussione di 40 anni fa – aggiunge oggi La verità è che ora la critica non conta molto e per questo è forse più libera. I critici sono autoreferenziali ma lo sono ancor di più i discorsi sulla loro autoreferenzialità. Io ho chiuso la recensione dicendo “piacerà ai critici”. Mea culpa». Simile era il giudizio di Paolo Mereghetti sul Corriere : «Non è certo un capolavoro ma un film medio, furbetto, ottimamente recitato, diretto da una regista che sembra chiedersi solo se inquadrare un tramonto o scegliere l’alba».
Una polemica rivitalizzante, dicono alcuni, in un momento in cui la critica è sempre meno influente, scalzata dagli influencer e dalle percentuali di siti aggregatori come Rotten Tomatoes e Metacritic. Sono lontani i tempi in cui Nanni Moretti perseguitava il recensore di Henry, pioggia di sangue fin nel letto di casa, infliggendogli la lettura dei suoi astrusi giudizi perché le parole dei critici sono, erano, importanti.