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 2021  maggio 08 Sabato calendario

Verità e bugie del mondo fashion

Il mondo della moda è zeppo di frasi fatte e stereotipi, sia che lo si guardi da fuori che dal suo interno. I cliché sono talmente tanti che di recente un account Instagram, Fecondazione Prada, s’è messo a catalogarli e demistificarli uno per uno: cosa significa essere cool (vestirsi da sciattoni con capi cari come il fuoco), i tentativi di dare nuovo smalto a marchi diversi ingaggiando sempre lo stesso consulente di grido, che trasforma i brand in cloni, fino al boom dei servizi fotografici con la “gente vera”, pagata molto meno dei modelli. Il ritratto che ne viene fuori non è dei migliori, e il polverone sollevato dal profilo dimostra che ci ha preso.
«Parlando di cliché», riflette il creatore dell’account, che vuole rimanere anonimo, «mi colpisce chi pensa che per riuscire in questo mondo sia necessario soffrire, essere trattati male, venire insultati dai propri capi». Il fatto è che la moda di per sé sarebbe un sistema chiuso, per addetti ai lavori, ma con il digitale, si è virtualmente aperto a tutti. «Si è perso il senso di appartenenza che c’era prima, e si sente il bisogno, errato, di dovere superare per forza degli ostacoli per essere ammessi. Uno dei primi miti da sfatare è che la maleducazione sia la norma: la gentilezza dev’essere la regola, non un’eccezione».
Per la verità di luoghi comuni sulla moda ce ne sono una marea. Dal di fuori, tutti pensano di sapere cosa accade alle sfilate, sui set fotografici, nelle redazioni, ma la verità è che quasi tutto è una bufala, un equivoco. Basta considerare tutte le banalità propinateci negli anni da cinema e televisione, che così facendo le hanno cementate nell’immaginario comune. Si pensi a serie come Sex and the City o Emily in Paris, costruite sul mito dei “professionisti” della moda nullafacenti e con guardaroba milionari, o anche a film come Prêt-à-Porter di Robert Altman, girato nel 1994 a Parigi durante le sfilate. La pellicola, incapace di andare oltre i soliti luoghi comuni, fu un flop nonostante il cast stellare con Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Julia Roberts, Lauren Bacall. E se neanche un narratore come Altman ha colto lo spirito di quest’universo, che speranza c’è che chi non lo conosce ne afferri realtà e sfumature?
E infatti. “Una manica di miracolati”, “Nullafacenti senza arte né parte”, “Gente frivola che passa il tempo a fare festa e a dire che è tutto stupendo”: sono queste le opinioni più ricorrenti sui social quando si prova a indagare. Si pensa che nella moda regni l’approssimazione, che “La gavetta non serve”, e che “Per farsi notare è meglio un bell’account Instagram”. Menzione d’onore per chi crede che “Quelli della moda mangiano pochissimo”, alla pari con chi dice che “Sono tutti ricchi”.
In quest’ultimo caso va precisato che ad alimentare l’equivoco sono proprio gli addetti ai lavori, pronti a sbandierare sui social media una vita tanto perfetta quanto finta. La dura realtà l’ha spiegata Giulia Mensitieri nel libro del 2018 The most beautiful job in the world, in cui racconta il paradosso dei free lance della moda, spesso così mal pagati da non riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena, pur vivendo circondati da abiti carissimi e viaggiando in business class per eventi e sfilate. «Tutti vogliono essere noi, ma nessuno pensa alle conseguenze», riflette un professionista del settore parafrasando Il diavolo veste Prada, il film più famoso sul tema.
Ma il vero problema è che certi preconcetti sono così diffusi da essere accettati di prammatica. Si pensa che i vestiti siano un bene superfluo, quindi non importante, e così facendo si ignora il valore culturale del settore, nonché la sua portata economica. Il che è grave: solo in Italia il sistema nel 2019 valeva circa 100 miliardi di euro, e ora a causa della crisi per la pandemia vede 75mila posti di lavoro a rischio. Un problema per niente secondario. Ma, a onor del vero, secondo tanti nell’ambiente, oltre alla superficialità e all’ignoranza di chi ci lavora, ci sono altri falsi miti. Proclami come “La moda è un ambiente inclusivo e sostenibile, in cui la diversità conta”, a loro dire di solito sono dettati dal marketing, più che da un pensiero sincero. Per dirla come uno di loro, «Ci sono più reazionari nella moda che nella finanza, e si vede».