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 2021  maggio 08 Sabato calendario

Intervista a Kazuo Ishiguro

Dopo Quel che resta del giorno e Non lasciarmi,
Kazuo Ishiguro firma un altro capolavoro (parola rischiosa, ma stavolta è il caso di sbilanciarsi).
Sta per uscire in Italia (Einaudi, traduzione di Susanna Basso) Klara e il Sole,
opera visionaria ed elegiaca di bellissimo spessore. È il suo ottavo romanzo e il primo pubblicato dopo aver ricevuto il Nobel per la Letteratura (2017). Il libro conquista per limpidezza dello stile, profondità delle implicazioni esistenziali e stratificazione dei livelli narrativi. Di volta in volta il grande gioco di Ishiguro si esprime in cenni, trasparenze e piccole dosi.
Parlando di robot, Klara e il Sole parla d’anima e d’amore, anche se è troppo semplice metterla così.
D’altronde Ishiguro, autore inglese di origine giapponese, incarna a suo modo l’infinita ricchezza del semplice, nel senso di essenziale e diretto. Come lo è lo sguardo di Klara, androide che osserva la realtà dalla vetrina di un negozio in un’America ansiogena, proiettata in un futuro non dissimile dal nostro presente, afflitto dal clima della pandemia. «Ma il nesso è una mera coincidenza, dato che ho finito di scrivere Klara e il Sole due mesi prima che esplodesse il tutto», spiega Ishiguro da Londra.
Klara è nutrita dall’energia solare e strutturata per stare con giovani che – come nei nostri lockdown – studiano non a scuola, bensì seguendo lezioni su schermi.
Acquisita dalla bambina Josie, Klara ci immette in un mondo di automazione e gerarchie che suddivide le persone in “potenziate” e non. L’umanità punta alla perfezione ma la minaccia è alta: talvolta la procedura fa ammalare, come nel caso di Josie, che i genitori hanno inserito nel gruppo dei potenziati geneticamente. La strategia scientifica è discriminante al massimo: solo i potenziati giungono ai piani alti. La prosa netta e sobria di Ishiguro ci guida a entrare nella violenza dei territori possibili della disumanizzazione e del fascismo.
Klara si dedica a ragazzi chiusi nella solitudine delle loro abitazioni e la stessa Klara è denotata da un isolamento struggente. È un libro sulla solitudine?
«Sì. Ma rifletto su un’idea particolare di solitudine. Essendo un robot che deve impedire ai bambini di sentirsi soli, Klara pensa al modo in cui compiere la missione. Per prevenire la solitudine, gli esseri umani hanno relazioni, ed è il motivo per cui Klara si concentra su di esse. Ma la solitudine che m’interessa non è quella per cui ci piacerebbe vedere più amici. Nel tempo ho intuito che in noi umani esiste una qualità “specialmente” solitaria, che ci rende complessi e sofisticati».
C’è una forte parentela fra il clone genetico di “Non lasciarmi” e Klara. Entrambi si basano su cosa voglia dire non essere umani…
«…ed entrambi attraversano, dal principio alla fine, l’arco di una vita
con tutte le sue fasi. Ma mentre scrivendo Non lasciarmi ero consapevole delle metafore fantascientifiche, in Klara e il Sole non ho mai attinto alla fantascienza. Tramite incontri con scienziati conosciuti grazie a Non lasciarmi (dopo quel libro sono stato invitato a partecipare a vari dibattiti sul rapporto scienza-società), mi sono avvicinato alle indagini sull’intelligenza artificiale e la manipolazione genetica, campi che si stanno sviluppando in maniera velocissima. Ho frequentato per esempio l’importante quartier generale di DeepMind, la società di IA (di Google) che ha sede a Londra.
Perciò, quando ho scritto Klara e il Sole, mi è sembrato tutto abbastanza attuale».
S’immaginano analogie anche tra Klara e Stevens, il maggiordomo di “Quel che resta del giorno”, depredato dalle proprie emozioni nel suo “mettersi al servizio di”.
«Ha ragione. Klara condivide alcuni aspetti con Stevens sul piano della tristezza, e in Stevens c’è qualcosa che lo rende simile a un robot.
Tuttavia non sono interessato ai servitori in senso letterario. Li vedo più come una metafora che ci riguarda tutti. Dobbiamo vivere in dimensioni molto limitate e occupandoci dei compiti che ci sono stati assegnati dal lavoro. Il nostro contributo è trasmesso ai vertici del comando. Non sappiamo come sarà usato, né quale sarà il suo impatto sui risvolti più ampi della Storia».
Emerge dal romanzo una società classista, tendente alle dittature e a una supremazia basata sulla genetica. Si va davvero in questa direzione?
«Non direi. Ma credo che ci saranno cambiamenti immensi legati al problema della disoccupazione.
Durante l’era industriale l’incremento dell’automazione ha eliminato sempre posti di lavoro, ma di solito ne ha creati di nuovi. Con l’irruzione capillare dell’intelligenza artificiale, ciò non accadrà più.
Dovremo riorganizzare la società accettando il fatto che in moltissimi non lavoreranno. Situazione che esigerà un ripensamento del sistema economico, del valore che ci daremo a vicenda e della distribuzione del benessere».
Sembra che “Klara e il Sole” ponga le domande-chiave della vita: cos’è una persona? Cosa sono le relazioni? Come deve comportarsi l’essere umano di fronte alle ingiustizie del mondo?
«In effetti il libro parla soprattutto di emozioni e relazioni. S’interroga sui rapporti e i sentimenti in un contesto modificato dalla scienza e dalla tecnologia. Si può sostituire una persona che muore per evitarci il dolore della perdita? Un individuo è unico negli algoritmi e in altri dati? Se lo è, in che modo questo trasformerà la nostra affettività?
Come cambierà l’amore, qualora potessimo trasferire un essere su una banca dati? Sono le questioni che ho voluto porre attraverso gli occhi di Klara e della sua innocenza».
Klara cerca spiritualità nel sole e a un tratto sembra rivolgergli una preghiera shintoista.
«Che è pura, purissima, cioè totalmente priva degli orpelli delle religioni organizzate. Volevo che Klara stabilisse un rapporto con una divinità estranea a qualsiasi costrutto religioso. Pur essendo una macchina, Klara si sta identificando in qualcosa verso cui noi, esseri umani, andiamo molto naturalmente alla ricerca».