La Stampa, 8 maggio 2021
Intervista a Stefania Rocca
Proprio come Marta, la protagonista del suo ultimo film Dietro la notte, Stefania Rocca racconta di essersi stancata di «aspettare la felicità». Per questo, nei mesi della pandemia, mentre ovunque si combatteva contro paura e depressione, ha deciso di passare dai fatti alle parole, ovvero dalla recitazione alla scrittura del primo film da regista: «Tendiamo tutti ad essere sempre un po’ in attesa che qualcuno ci porti la gioia, e invece bisogna muoversi per crearla».
Di che cosa parlerà il suo esordio?
«Manco a dirlo parlerà proprio di attesa. Era da un po’ di tempo che avevo in mente il progetto, ma, tra un impegno familiare e uno di lavoro, non riuscivo mai a venirne a capo. Il periodo delle chiusure mi è parso adatto a realizzarlo, ho finito di scrivere la sceneggiatura e ora stiamo mettendo a punto la produzione. La storia è ispirata al libro L’ora di tutti di Maria Corti, parla dell’assedio di Otranto e di cinque personaggi che vivono, appunto, in attesa dell’assalto dei Turchi».
Quindi sarà un film in costume?
«No, nella mia versione il piano temporale – storico lascia spazio a una rilettura fantastica, contemporanea, in cui una troupe cinematografica è ferma, in vista di un evento in arrivo. Sarà un film che parla della nostra scarsa memoria, del rapporto che abbiamo con il diverso, con la comunità, e con noi stessi».
Nel frattempo ha diretto il corto «The dreamers’room» per il lancio della nuova collezione dei gioielli di «FuturoRemoto», con protagonista Serra Ylmaz, come è andata?
«Ho immaginato un piccolo racconto visionario, con Serra è andata benissimo, mi ha dato fiducia, volevo qualcuno che avesse grande espressività e lei è perfetta».
Nella serie «Made in Italy» è stata Mariuccia Mandelli, in arte Krizia. Cosa l’ha colpita di quel percorso?
«Il carattere della protagonista, una donna che è andata oltre, inseguendo il suo sogno con determinazione. Confezionava gonne, un giorno le ha messe tutte in una valigia e ha iniziato a girare per negozi con lo scopo di mostrarle. Quello è l’esempio da dare alle nostre figlie, seguire le proprie aspirazioni, senza farsi superare da stupidi atteggiamenti sessisti».
Il Covid ha imposto a tutti una battuta d’arresto. Lei come ha vissuto la stasi forzata?
«Con resilienza, come tutti, riflettendo sulla fragilità del mestiere che faccio e anche traendo forza dal confronto tra noi attori. In quest’occasione, finalmente, ci siamo uniti in un’associazione di categoria. Condividere è stato importante, significava non mettere la testa sotto la sabbia, sperando che qualcuno venga a tirartela fuori».
E in famiglia come è andata?
«I miei figli sono stati bravi, si sono autodisciplinati, a casa, nel turbinio dei collegamenti online, ci siamo divisi le stanze. Sicuramente i ragazzi sono maturati, ma è ovvio che la Dad, se da una parte ci ha aiutato a compiere grandi passi nell’uso delle tecnologie, dall’altra ci ha tolto molto sul piano relazionale».
In «Dietro la notte» di Daniele Falleri (disponibile su Sky) interpreta un personaggio pieno di sfaccettature, un po’ dark lady e un po’ mamma affettuosa, un po’ amante sensuale e un po’ vittima in cerca di vie di scampo. Che cosa le è piaciuto della storia?
«Soprattu to la capacità di scardinare i preconcetti legati alle donne, la mia protagonista gioca con gli stereotipi femminili, si diverte ad usarli come strategia per uscire dalle difficoltà e questo mi ha divertito molto. Noi donne abbiamo mille facce e io, anche nella realtà, non voglio perdermene nemmeno una».
Nel film Marta ha un rapporto difficile con la figlia Elena (Elisa Visari), nella vita reale lei è madre di figli maschi. Scoperte sul tema?
«Mi sono resa conto più che mai del fatto che tendiamo a dare per scontata la conoscenza dei nostri figli, ce li siamo portati in pancia per 9 mesi e pensiamo di sapere tutto di loro. Invece non è così. Durante le riprese ho ripensato alla mia adolescenza, sono l’ultima di tre sorelle, ero anche io complicata come Elena, cercavo l’indipendenza e scalciavo contro chi provava a ostacolarmi».
Che cosa chiede oggi al suo lavoro?
«Personaggi non monocolori, e credo che il cinema italiano in questo senso debba un po’ evolversi. La parità di genere si misura in varie maniere, non conta solo il numero di registe donne, ma anche il modo in cui le donne sono descritte. Gli americani in questo sono avanti, basta guardare i film d’animazione degli ultimi anni per vedere che non c’è più traccia di principesse chiuse nelle torri ad aspettare che qualcuno le salvi». —