La Stampa, 8 maggio 2021
Intervista a Aleida Guevara, la primogenita del comandante
«Cambiano gli uomini, ma gli ideali della Revolución sono eterni». Aleida Guevara risponde al telefono dal Centro Studi, a L’Avana, intitolato al padre. L’ufficio dove è seduta ospitava la camera da letto dei genitori, Ernesto Guevara e Aleida March. Lei è la maggiore dei quattro figli della coppia. Nata un anno dopo la conquista del potere dei barbudos, quando il guerrigliero argentino è stato assassinato in Bolivia aveva sei anni. Medico come il padre (è specialista in allergologia pediatrica), difende l’ultima roccaforte socialista al mondo: «Per Cuba siamo tutti pronti a batterci: forse verrei assegnata alle retrovie, ma con il fucile ho ancora un’ottima mira».
Signora Guevara, l’ultimo dei Castro è andato in pensione. Cosa cambia?
«Nulla, è un cambio nel segno della continuità. Disgraziatamente gli uomini non sono eterni, ma gli ideali restano. Il presidente e segretario del partito Díaz-Canel è cresciuto e si è formato nella rivoluzione».
Come vede Cuba tra 10 anni?
«Spero che l’embargo non ci sarà più, ma non dipende da noi. L’unica certezza è che Cuba nel 2030 sarà indipendente, libera e sovrana. Ma anche nel 2040 e nel 2050».
L’isola sta attraversando la peggior crisi dal “período especial”. Biden alla Casa Bianca può favorire il disgelo tra Cuba e Usa?
«È quello che tutti speriamo. Non vogliamo più che a 90 miglia dalle nostre coste ci sia un nemico come gli Stati Uniti. Ci piacerebbe che, a dispetto delle idee differenti, ci fosse rispetto. Speriamo che Biden elimini l’embargo: è una guerra criminale. Se non lo vivi, non puoi capirne neanche lontanamente l’impatto».
Provi con un esempio.
«Prendiamo qualcosa di attuale: la sanità. L’embargo ci impedisce di acquistare strumentazioni all’avanguardia o alcune medicine. Se un’azienda farmaceutica italiana vuole venderci un farmaco, Washington può decidere per ritorsione che non sarà venduto negli Usa. A volte compriamo medicine a prezzi esorbitanti perché per eludere le sanzioni passano da quattro o cinque intermediari».
Cuba sta sviluppando il suo vaccino, cosa pensa delle aziende farmaceutiche che si oppongono alla liberalizzazione dei brevetti?
«Una scelta criminale. La vita degli esseri umani è diventata una merce: non si possono fare affari con la disperazione e il dolore umano. Mio padre diceva: “Meglio la vita di un bambino che tutto l’oro dell’uomo più ricco del mondo"».
Se fosse vivo, come giudicherebbe la Cuba di oggi?
«Non capirebbe mai le aperture al settore privato. Storcerebbe il naso vedendo i “cuentapropistas” (lavoratori autonomi, ndr). Li considererebbe un piccolo cancro nella società: quando inizi a pensare alle tue tasche, lì cominciano i problemi per il popolo».
Una battaglia che oggi combatterebbe?
«Sicuramente quella ecologica. Sessant’anni fa, nei suoi scritti, affrontava il tema della difesa della natura: sono certa che alzerebbe la voce contro le imprese che stanno distruggendo il pianeta. L’altro fronte sarebbe quello contro le disuguaglianze del mondo, che la pandemia ha acuito».
Nel 2017 un’associazione di Rosario, città natale di suo padre, ha proposto di abbattere la sua statua sostenendo che omaggia un assassino. Cosa ne pensa?
«Sarebbe triste, perché quella statua è stata realizzata con oggetti di bronzo donato dai cittadini. Ma è, appunto, solo una statua: buttandola giù non si cancellerebbe l’immagine del Che, già interiorizzata da milioni di persone».
E quell’accusa di essere un assassino?
«Il nemico proverà sempre a togliere i meriti a un uomo che evidentemente fa paura anche da morto. Mio padre era un guerrigliero, non un santo. Ha imbracciato le armi e lottato per un mondo migliore. Altrimenti la guerriglia a cosa serve? Quando in Italia si canta “Bella Ciao” non è forse un inno ai guerriglieri che vi liberarono dal fascismo? Mio padre amava la vita, per questo scelse la lotta armata. Se non l’avesse fatto, oggi Cuba non sarebbe un Paese libero».
Le ha insegnato a lottare contro le ingiustizie. Come giudica gli arresti dei dissidenti a Cuba?
«Se rispetti il popolo cubano, nessuno ti tocca. Ma se ricevi soldi dall’estero per destabilizzare il Paese, allora vai in carcere».
Sono prigionieri politici?
«A Cuba non esistono».
Cuba è una democrazia?
«La parola arriva dal greco, significa “potere del popolo”. Nella nostra isola il potere è nelle mani del popolo».
Un po’ poco, l’etimologia: nelle democrazie esistono diversi partiti, a Cuba uno soltanto.
«Il partito comunista è l’avanguardia del popolo e rispetta le decisioni prese dalla gente. Finché sarà così non ci sarà bisogno di elezioni». —