Avvenire, 8 maggio 2021
Cucchi, 13 anni in appello ai carabinieri che picchiarono Stefano
Tredici anni di carcere ciascuno per omicidio preterintenzionale. Anche la Corte d’Assise d’Appello di Roma si è detta convinta della colpevolezza dei due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro nella morte di Stefano Cucchi. Non solo ha confermato la sentenza in primo grado del 14 novembre 2019, ma ha recepito la richiesta del pg Roberto Cavallone, aumentando da 12 a 13 anni la condanna. Soddisfatta la famiglia del giovane geometra romano, mentre la difesa dei condannati esprime amarezza e annuncia ricorso in Cassazione per verificare la correttezza del procedimento.
Di Bernardo e D’Alessandro sono stati condannati per il brutale pestaggio del trentunenne arrestato a Roma nella notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 per detenzione di stupefacenti. Cucchi sarebbe deceduto sei giorni dopo all’ospedale Sandro Pertini. Il verdetto, dopo cinque ore di camera di consiglio, è arrivato a quasi 12 anni dalla tragica morte. La Corte d’Assise ha condannato anche il carabiniere Roberto Mandolini a quattro anni per falso (in primo grado 3 anni e 8 mesi), per aver coperto i due responsabili del pestaggio. E ha confermata la condanna per lo stesso reato a due anni e mezzo per Francesco Tedesco, il milite che poi con le sue dichiarazioni ha fatto luce sulle violenze avvenute nella Caserma Casilina la notte dell’arresto. Per quest’ultimo il pg Cavallone aveva chiesto l’assoluzione.
«Il mio pensiero va a Stefano e ai miei genitori che oggi non sono qui in aula» ha commentato Ilaria Cucchi. «È il caro prezzo che hanno pagato in questi anni», ha aggiunto la sorella maggiore. «La mamma di Stefano, la signora Rita Calore, ha pianto non appena ha saputo della sentenza», ha detto l’avvocato Stefano Maccioni, parte civile per conto dei genitori di Cucchi: «L’ho sentita poco fa al telefono. È un momento di grande commozione per lei e il marito. Siamo comunque pienamente soddisfatti della decisione».
«Il nostro pensiero va al procuratore Giuseppe Pignatone (capo della procura di Roma all’epoca dell’apertura del processo- bis, ndr) e ai pm Michele Prestipino e Giovanni Musarò. Dopo tante umiliazioni – ha commentato l’avvocato Fabio Anselmo – è per merito loro che siamo qui. La giustizia funziona con magistrati seri, capaci e onesti. Non servono riforme», ha concluso il legale di parte civile per conto della famiglia Cucchi. «Pensavamo – è stato il commento dell’avvocato Maria Lampitella, difensore del carabiniere D’Alessandro – che non si potesse fare peggio della sentenza ingiusta come quella di primo grado. Con l’accoglimento di una impugnazione completamente inammissibile, abbiamo la conferma che la giustizia non guarda più al dato processuale e gli imputati di questo processo hanno subito una condanna ancora più grave. La nostra speranza è riposta nel giudice delle leggi, la Cassazione, ci rivedremo lì» ha concluso il legale. Anche l’avvocato di Di Bernardo, Antonella De Benedictis, ha annunciato ricorso alla Suprema Corte: «Sono molto amareggiata, c’è una perizia medica che accerta il fatto che Cucchi sia morto in conseguenza dell’ostruzione di un catetere, ritengo che l’omicidio preterintenzionale non sia giusto».