il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2021
Morte di Napoleone
Stato di salute Nulla da segnalare, riguardo alla salute di Napoleone, fino al 1818. Ma quell’anno, il 4 di giugno, un giovedì, passò una notte in bianco, «mal di testa lacerante», quindi «ansia», poi «oppressione» e anche «pelle calda e secca», «il cuore gli batte forte», eccetera. Così il dottor Barry O’Meare, il cui referto, parecchi decenni dopo, fu venduto a un’asta in Texas per 1.500 dollari.
Dente In quello stesso anno, O’Meare, un chirurgo irlandese che non aveva neanche trent’anni, gli cavò il dente del giudizio. Poi gli inglesi lo richiamarono in patria, aveva troppa simpatia per il paziente.
Sant’Elena Siamo nell’isola di Sant’Elena, uno scoglio in mezzo all’Atlantico, mille e novecento chilometri dalla costa più vicina, qualche centinaio di abitanti, zanzare a milioni, topi fin sotto i letti, calura tropicale, umidità, si soffoca, ecc. Qui, dopo Waterloo, gli inglesi hanno sbattuto il cosiddetto imperatore, mettendogli come cane da guardia il generale Hudson Lowe, baronetto, stessa età del prigioniero. Istruzioni ricevute da Londra: rendere per quanto possibile la vita di N. un inferno. Hudson Lowe, tra l’altro, spiega a Bonaparte che lui non è un prigioniero, ma un ospite, e deve pagarsi da sé vitto e alloggio.
Su Hudson Lowe: «Un cretino» (Wellington).
Galoppata Una mattina d’ottobre del 1820 il nostro galoppa da Longwood, sua residenza, fino a Sand Bay, dove lo attende sir William Doveton, 58 anni, nato a Sant’Elena, uno che dall’isola non s’è praticamente mai mosso (per ingannare il tempo ha fatto fare alla moglie Eleanor dieci figli). Costui nota che il suo ospite è «pallidissimo, grasso e rotondo, un maiale cinese». Apparecchiano sul prato, viene servito un piatto di frutti tropicali fermentato, «un torcibudella», si accompagna il tutto con champagne. N., mezzo sbronzo, perde i sensi. Lo fanno rinvenire, lui pretende di tornare a Longwood a cavallo. Non c’è modo di persuaderlo, ma gli vanno dietro, e a mezza strada lo devono tirar su e caricare su un calesse.
Canapè Il maresciallo Carlo Tristano di Montholon, uomo dai molti cognati, che aveva seguito l’imperatore a Sant’Elena con la moglie Albine de Vassal, di cui era il terzo marito, moglie che s’accarezzava volentieri col Bonaparte, al punto che la seconda figlia sua, Josephine, partorita a Sant’Elena, risultava identica al grand’uomo. Costui, nel gennaio 1821, appuntò che N. dormiva di continuo, di preferenza sul lettuccio di Austerlitz che lo aveva seguito in esilio, e che non teneva più niente, vomitava, se la faceva sotto, ecc. Lo stesso Napoleone, quando si risvegliava, andava dicendo: «Non passo l’anno, non passo l’anno…» (intanto s’illudeva che gli avrebbero spostato l’esilio in America).
Calesse Ultima passeggiata in calesse: 7 marzo 1821.
Antommarchi Richiamato in patria O’Meare, era diventato medico di Napoleone Francesco Antommarchi, un còrso che sarebbe andato a morire a Cuba. Costui, intorno alla metà di marzo, vedendo che Bonaparte girava piegato in due per il mal di stomaco, gli diede da bere una limonata in cui aveva sciolto qualche grano di tartaro (potassio+antimonio). A causa di questo l’imperatore si contorceva per gli spasimi, e vomitava, e gridava al “dottoraccio”, che non si facesse vedere mai più, benché gliel’avesse raccomandato la madre Letizia.
Chili Negli ultimi sei mesi, il prigioniero aveva perso forse undici, forse quindici chili.
Aria Lo visita il dottor Arnott, del XX reggimento, e conclude che ha troppa aria nell’intestino. Napoleone non si capacita, «O’Meare dice che è un fatto di fegato». Dentro di sé pensa che lo stia mangiando lo stesso cancro che, a 35 anni, s’è portato via il padre. Del resto i morsi allo stomaco durano da un pezzo.
Ultimi giorni A metà aprile Antommarchi prega il maresciallo Bertrand di far presente all’imperatore che la sua ora è vicina. 15-25 aprile: Napoleone fa testamento. 29 aprile: spostano il letto nel salone di Longwood, vicino alla finestra, in modo che abbia più aria. Lui vomita tutto il tempo una materia nerastra striata di sangue. Lo salassano, lo imbottiscono di calomelano. 3 maggio: estrema unzione. 4 maggio: principio dell’agonia, vale a dire ansima, singhiozza, rantola, suda, rabbrividisce, vaneggia. Schizza liquidi neri fuori dal corpo. 5 maggio, mattina: tutti gli illustri di Sant’Elena stanno intorno al suo letto e ne contemplano la fine. Fuori, c’è nebbia, pioggia, tempesta. Il vento sradica due giovani alberi.
Ultime ore Alle dieci non si sente più il polso, alle undici il corpo è gelido. Antommarchi gli rinfresca la bocca con acqua di fiori d’arancio e zucchero. L’addome gli fa su e giù. Gli occhi si rovesciano sotto le palpebre. Alle 17.49, una leggera schiuma avendogli coperto le labbra, rende l’anima.
Dopo Antommarchi, aiutato da un medico inglese, gli applica sul viso uno strato di gesso da cui cavare una maschera, e infatti oggidì, di maschere di Napoleone ricavate da quella (e da altri rilievi eseguiti in cera e in cartapesta), se ne mostrano parecchie, in musei e collezioni private. Sette medici lo fanno a pezzi per capire di che è morto, ma ne sigillano anche, in due recipienti d’argento colmi di spirito, il cuore e lo stomaco, con l’idea di donarli alla moglie Maria Luisa duchessa di Parma. La Maria Luisa avendoli rifiutati («avrei voluto che vivesse a lungo, però lontano da me») si sistemano le due ampolle nella bara. Con i capelli – che all’analisi moderna risultano pieni di arsenico – si fecero braccialetti. Al termine dell’autopsia, i sette medici si spartirono le lenzuola macchiate di sangue, certi che avrebbero avuto un mercato.
Pene L’abate Vignali gli segò il pene che nel 1999 fu messo all’asta e aggiudicato per quattromila dollari al dottor John F. Lattimer, della Columbia University. La figlia di costui lo avrebbe a sua volta messo all’incanto per centomila dollari.
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