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 2021  maggio 07 Venerdì calendario

Cottarelli spiega la sua riforma. Intervista

È un Carlo Cottarelli in veste diversa dal solito. L’economista stavolta è il coordinatore di tanti gruppi di lavoro che si prefiggono di riscrivere tutto. “Programma per l’Italia” è infatti un largo comitato scientifico che formalizzerà proposte di matrice liberale per un nuovo programma di governo. Dietro ci sono i radicali di +Europa di Emma Bonino, Azione di Carlo Calenda, il partito Ali e poi repubblicani e liberali. Si inizia con la giustizia. «E tra un mese saremo di nuovo pronti con le nostre proposte per l’istruzione».
Professore, oggi presenterete un poderoso schema di riforme che comincia dai fondamentali costituzionali, ossia dall’ordinamento giudiziario. Proponete la separazione delle carriere, due Csm, uno per la carriera inquirente e l’altro per la giudicante, il trasferimento al ministero della Giustizia della magistratura amministrativa che è oggi sotto la supervisione della presidenza del Consiglio e della magistratura tributaria che è in ambito dell’Economia. Non è un po’ troppo?
«Guardi, noi pensiamo che le condizioni di partenza siano tali, e i problemi segnalati dalle organizzazioni internazionali ormai da troppi anni, che occorre un intervento davvero incisivo».
Lei sa meglio di tutti che la separazione delle carriere è tema caro all’avvocatura e a una parte della politica italiana, del tutto indigesto per la magistratura e per l’altra parte della politica.
«Certo, conosciamo le posizioni di partenza. A noi sembra un’ipotesi di estremo buon senso. La perdita di credibilità della magistratura è nei fatti. Secondo un recente sondaggio, un italiano su due non si fida dei giudici. Per questo servono riforme molto approfondite, che vanno molto oltre quelle presentate dal governo».
Naturalmente il recente scandalo del Csm non aiuta la credibilità delle toghe. Che cosa ci deve insegnare la storia del Corvo?
«Bah, ne conosco poco, ma ho letto anch’io i giornali. Che dire? Prima era Palamara, ora Amara... Senza facili ironie, è un altro indicatore che abbiamo problemi. Che il sistema non va e ciò influisce sulla percezione che i cittadini hanno della giustizia italiana. Non fa che accentuare il disagio dei cittadini. E invece la giustizia svolge un ruolo fondamentale per il nostro Paese. Lo Stato di diritto è fondamentale. Siamo tutti a favore di una magistratura che sia estremamente autorevole e che possa fare il proprio lavoro con strumenti adeguati. Perciò io dico che noi intendiamo offrire al dibattito della pubblica opinione le nostre idee di riforma. Questo pacchetto per noi sarebbe il meglio. Poi, certo, sappiamo che non tutte le nostre idee passeranno. Ma questo non è un prendere o lasciare. Vedremo quali proposte potranno raccogliere una certa convergenza».
Intanto anche il governo lavora alle riforme della giustizia.
«Premesso che la ministra Cartabia ancora non ha scoperto le sue carte, e che i tavoli tematici al lavoro presso il ministero della Giustizia hanno davanti almeno altri 10 giorni, sì, noi abbiamo messo in conto che servono riforme strutturali che certo non sono nell’orizzonte di una maggioranza dove convivono un centrodestra e un centrosinistra che su queste tematiche difficilmente potranno trovare un accordo».
E allora, professor Cottarelli, queste vostre proposte resteranno un bel progetto su carta oppure pensa che vedranno mai la luce?
«Dipende. Mi sono convinto che una riforma può essere realizzata solo se ha dietro l’opinione pubblica. In fondo, è lo stesso problema che c’è con il Recovery Plan, o meglio il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Governo Draghi lo ha impostato. Ma siccome questo Governo non nasce sulla base di un consenso e di un programma, cioè di un chiaro mandato elettorale, se poi queste riforme verranno realizzate oppure no si vedrà nei prossimi anni. Nei fatti l’opinione pubblica ancora non si è espressa; lo farà con il voto. E a quel punto sapremo anche che fine faranno queste riforme».
Ci sono anche idee stranianti, tipo accogliere nella magistratura giudicante un certo numero di avvocati di chiara fama e senza passare per il concorso.
«Se si guarda alle singole proposte, una potrà piacere meno, una di più. Il metodo che ci siamo dati è questo: ai nostri tavoli si confronta una larga schiera di esperti, non tutte le riforme sono come le avrei scritte io, e non ci sono tutte le riforme che io avrei voluto. Ma è giusto così. Tutti hanno dovuto cedere qualcosa».
Più in dettaglio, prevedete una serie di riforme molto puntuali. Per il penale, ritorno alla prescrizione e grande attenzione alle garanzie. Per il civile, ricorso a un rito unico, taglio delle udienze, poteri più penetranti al giudice.
«Sono riforme che ci chiedono gli organismi internazionali. E si consideri che la lentezza dei processi è un grave problema per l’economia italiana. Non è questione di un punto in più o in meno del Pil. Il problema è molto più serio. Sappiamo per certo che la lentezza della nostra giustizia è uno dei tre grandi problemi, assieme a una burocrazia inefficiente e un’alta tassazione, che tengono lontani gli investimenti esteri dall’Italia. Sono chiare le statistiche, tipo la graduatoria Cepej. Se in Germania ci vogliono 2 anni e mezzo per una sentenza civile, da noi ne occorrono 7. I tempi sono lentamente migliorati sia l’anno scorso, sia due anni fa, ma questi passi in avanti si misurano in mesi. Invece qui occorre recuperare in anni».
E poi proponete iniezioni massicce di managerialità.
«So che solo a parlare di manager nella giustizia, i giudici mi dicono: noi facciamo sentenze, non gelati. Giusto. Ma anche le sentenze devono tener conto del tempo, che incide sulla qualità della giustizia. Come sa un chirurgo: un’operazione fatta tra un mese non è la stessa se fatta dopo dieci anni. Per questo motivo pensiamo che i tribunali debbano essere gestiti come delle aziende, e che serva un direttore generale ad occuparsi di logistica, approvvigionamenti, gestione immobili. Così come serve nuovo personale. Dobbiamo tendere a medie europee anche nella spesa. Con tutti i soldi che si spendono... con un costo non enorme la giustizia potrebbe marciare più spedita».
Managerialità, dunque.
«Occorre gestire i tribunali con criteri di produttività, premialità per numero di provvedimenti e esito delle impugnazioni, performance. Tutto per ridurre l’abisso. Perché in un Paese dove la giustizia non funziona bene, non può avere un’economia che funziona bene». —