Corriere della Sera, 7 maggio 2021
Intervista a Riccardo Muti
RAVENNA «Adoro Chicago, che mi sta nel cuore, ma i Wiener sono l’orchestra di tutta la vita». Riccardo Muti e i Wiener Philharmoniker, storia di un idillio (ininterrotto) cominciato 50 anni fa, al Festival di Salisburgo col Don Pasquale. «Vienna mi ha dato tantissimo». Muti ha l’onorificenza dell’Anello d’oro ed è membro onorario dell’Opera, della Filarmonica, del Musikverein (la sala dorata) e dei Piccoli cantori. Con i Wiener, ha un tour italiano in tre tappe: il 9 a Ravenna (è l’anteprima del Festival), il 10 all’Opera di Firenze, l’11 alla Scala. In programma Mendelssohn, Schumann, Brahms. «Se ci chiederanno un bis, sarà il Kaiser-Walzer»
Maestro, riandiamo al suo debutto con i Wiener.
«Era il 1971 quando ricevetti l’invito di Karajan. Salisburgo era un traguardo ambito e impensabile per un giovane, anche se ero direttore al Maggio. Avevo timore reverenziale, l’orchestra era severa, tutti in giacca scura anche in prova, gli anziani erano stati diretti da Bruno Walter e Furtwängler. Vienna era una città molto diversa da oggi, si respirava un’aria post bellica, la gente vestiva dimessa come nell’Europa dell’Est, c’era la cortina di ferro. Fu un grande successo. Mi chiesero di incidere le Sinfonie di Schubert».
La quintessenza della viennesità.
«Infatti in seguito mi chiesero di dirigere il Concerto di Capodanno, laddove gli Strauss incarnano un altro aspetto dell’anima viennese. In Italia c’era un vocìo: ma come, un napoletano che dirige i valzer? Dimenticavano che la regina di Napoli, Maria Carolina, era figlia di Maria Teresa d’Austria. Ho diretto sei concerti di Capodanno».
All’ultimo, nella sala vuota per il virus, c’era un’atmosfera spettrale?
«Era impressionante. Dopo una polka trascinante il silenzio assoluto, ma sapevamo di avere 50 milioni di spettatori nel mondo. È stato qualcosa al di là del concerto. Avremo un premio dalla tv Orf».
Ma qual è davvero l’unicità dei Wiener?
«La compattezza, il fraseggio, la tradizione che si tramanda, il canto (è la stessa orchestra che suona in buca all’Opera, con 60 titoli in repertorio e suonano senza prove), il mix di cultura germanica, ungherese, italiana, slava in senso lato e tutto questo si raccoglie in qualcosa d’inspiegabile. Infine la disciplina artistica, cioè la musica che si fa col sorriso (non con le risate), nel desiderio di raggiungere l’armonia e la bellezza».
L’impegno
Il ministro dell’Istruzione mi ha detto che vuole riportare l’insegnamento della musica nelle scuole
Che differenza c’è tra i Wiener e i Berliner?
«Furtwaengler diede una risposta spiritosa: i Berliner sono la moglie, incarnano la fedeltà; i Wiener sono l’amante. Ma non perché, a parte il fondatore Nicolai e Krauss, non hanno avuto direttori stabili, direi invece per l’imprevedibilità, la capacità inaspettata di portarti in sfere meravigliose».
Il 19 giugno dirigerà l’«Aida» all’Arena, il sindaco di Verona in un appello chiede di ampliarne la capienza a 6000 posti.
«Non si può fare un concerto nell’Arena vuota. Dov’è il pericolo? Io non lo vedo. Allora che lo mandino in tv in tutto il mondo come a Capodanno, piuttosto che avere un piccolo gruppo di privilegiati. Sarebbe un affronto, una presa in giro. La gente poi non parla durante il concerto. Come disse Cicerone: fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?».
Lei è appena tornato dal Giappone: lì com’è la situazione con la pandemia?
«Vi ho tenuto l’Accademia per giovani direttori, sono indietro con le vaccinazioni rispetto a noi ma la vita si svolge nel modo più tranquillo. Il governo dà consigli, non impone. È una forma di rispetto per il popolo. In Giappone ho avuto una videochiamata del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, mi ha detto che si preoccuperà in modo concreto di riportare l’insegnamento della musica dalle elementari all’università. Io ho i miei anni, ora che la mia giornata è giunta a sera, per citare Verdi, mi fa sperare che possiamo girare pagina».
Ma i virologi li ascolta?
«Li rispetto, anche se si chiamano tutti scienziati, come gli artisti in campo musicale. Stiamo andando verso l’iperbole. Credo che bisognerà rientrare nella normalità».