Avvenire, 7 maggio 2021
La lezione di Mandela sull’Hiv
La questione dei brevetti sui vaccini anti Covid ha un precedente importante che risale agli anni Novanta, anni in cui l’Hiv era considerata ancora un’emergenza in gran parte del pianeta e la sua penetrazione, in particolare in Africa, pareva inarrestabile. Neanche il Sudafrica, il Paese con l’economia più forte del continente, riusciva a farvi fronte, tanto da contare nel 1997 oltre 3 milioni di persone contagiate dall’Hiv e almeno 100mila morti l’anno. In altre regioni del mondo la comparsa in commercio dei farmaci antiretrovirali, nel 1996, riuscì a dare una speranza, ma i loro costi erano di fatto insostenibili per il Sud del mondo. Si trattava di farmaci, protetti dai brevetti, che arrivavano a costare anche fino a 10mila dollari.
Nelson Mandela, all’epoca presidente del Sudafrica, decise una svolta nel 1997, promulgando una legge, il Medical Act, che superando i brevetti autorizzava di fatto la produzione locale di farmaci antiretrovirali generici a basso costo o l’importazione degli stessi da altri Paesi. L’anno successivo, però, un’azione legale portata avanti da 39 case farmaceutiche, che contestavano la violazione delle regole del commercio mondiale in tema di proprietà intellettuale (i Trips, appunto,
che garantiscono 20 anni di monopolio sui brevetti per i medicinali) bloccò l’applicazione della legge. Nel 2000 i farmaci erano riusciti a ridurre della metà i morti di Aids negli Stati Uniti, mentre in Africa, a quattro anni dalla scoperta della terapia, il numero dei sieropositivi era quasi raddoppiato a quota 2,4 milioni.
Il 5 marzo del 2001 si aprì il processo contro il Medical Act voluto da Mandela, che era riuscito a portare dalla sua parte l’opinione pubblica. Le pressioni internazionali, e il relativo crollo d’immagine, indussero Big Pharma a ritirarsi dal processo e sancirono una storica vittoria contro gli interessi commerciali nel campo della salute.
Attualmente nell’Africa sub-sahariana vivono circa 25,7 milioni di persone con l’Hiv; il 64 per cento di loro (circa 16,4 milioni) assume la terapia antiretrovirale. Nell’anno del Covid le organizzazioni internazionali, a partire dall’Oms, hanno più volte lanciato l’allarme sul rischio di un passo indietro nella sfida a una malattia contro la quale non è ancora stato individuato un vaccino. «La pandemia non deve essere una scusa per togliere fondi all’Hiv», ha sottolineato Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di Unaids.