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 2021  maggio 06 Giovedì calendario

Intervista a Andriy Shevchenko

Andriy Shevchenko uguale Champions League: è la sintesi della sua autobiografia “Forza gentile”?
«L’identificazione è giusta. La mia unica possibilità di farmi vedere fuori dall’Ucraina era la Coppa. E siccome con Lobanovskyi la Dynamo Kiev faceva ottimi risultati e io ero al centro di quel progetto, Braida e Galliani sono venuti a vedermi. Per questo poi ho avuto la possibilità di finire al Milan».
Cosa pensa della Superlega?
«Che così si distrugge il calcio, la tradizione. La formula che hanno inventato non l’ho capita».
Non è un modello di sport-spettacolo all’americana?
«Negli Usa il modello di business è anche migliore di quelli europei.
Però ci sono dei principi base: la squadra peggiore sceglie il migliore giocatore e poi non è vero che non giocano per il successo. Il calcio ha bisogno di spettacolo e lo spettacolo di soldi. Ma come ha detto Guardiola, non ha senso creare un torneo in cui rimani sempre. È un progetto presentato malissimo, distruggerebbe Paesi come il mio e tanti altri in cui sono nati grandi talenti. E sarebbe un danno verso la cultura del calcio. Il modello della Champions è stato modificato nel tempo, ma dà a tutti la possibilità di partecipare»
Il suo primo gol in Champions al Bayern a 18 anni: predestinato?
«Se è per questo, a 15 anni con la Dynamo giocai un torneo giovanile vicino a Milano. Visitammo San Siro e pensai: io qui ci tornerò».
18 anni fa, Old Trafford, il rigore decisivo alla Juve in finale.
«Il mio manifesto, la mia più grande vittoria. La cosa più difficile è non cambiare idea nei 50 metri dalla metà campo al dischetto».
Lei vinse il Pallone d’oro nel 2004: oggi a chi lo darebbe?
«Mbappé. È troppo più forte. È imprendibile, a sinistra, a destra e in area, fiuta gli spazi. Ha rapidità, dinamismo, attira l’avversario, ha la scintilla, è elegante. E migliorerà, ha sentito presto l’inno della Champions».
Musica di Händel: lei si è mai sentito artista?
«Certo: noi facciamo spettacolo, è il nostro lavoro».
Pasolini coniò i “podemi”, i passaggi che con infinite combinazioni formano le parole calcistiche.
«A me piace la musica. A un artista, a un cantante, spesso piace il calcio. E questo scambio, per me, è cultura».
Lei porta il cognome del poeta Taras, eroe nazionale ucraino.
«Cognome impegnativo. Alla mia patria io sento di appartenere, con tutta la mia anima».
Lei, nel 2012, entrò in politica.
«Ma non era cosa mia. Io appartengo al calcio, la politica non è per me».
Nel governo del calcio ci sono sempre più ex campioni.
«Saranno sempre più centrali. Come Boban, fondamentale prima alla Fifa e adesso all’Uefa».
Ha inventato il Var.
«Giustissimo e non lo dico perché è un amico fraterno. A me piacciono precisione e giustizia: prima rimaneva il dubbio. Poi qualcosa si può aggiustare».
Ad esempio?
«Il fuorigioco. Per me si deve basare sul baricentro del calciatore, dal ginocchio al petto. Lasciamo stare i piedi: è fuorigioco se il baricentro è in fuorigioco, altrimenti no».
Lei ragazzino si calò dalla finestra per giocare sul lago Verbne: un hockeista mancato?
«Facevo tennis, nuoto, sci, ginnastica nelle palestre all’aperto che a Kiev abbondano. Amo la competizione. Dai 10 anni giocavo tanto a hockey, feci qualche provino. Ma per fortuna si giocava solo 3 mesi d’inverno, invece il calcio tutto l’anno».
La bocciarono all’università di Fisica e Cultura, esame di passaggi e dribbling: possibile?
«A me sono successe tante cose impossibili».
A Obolon, il suo quartiere, sdei suoi amici siete sopravvissuti in due a droga, criminalità e armi.
«Nell’Urss, da bambino, crescevi tranquillo: dopo Cernobyl ci mandarono sul mar Nero, facevamo scuola e sport. Però il muro non è caduto di colpo. Quando un Paese va a pezzi, la prima cosa è la criminalità. Andavo all’Accademia della Dynamo, un’ora e mezza cambiando metro, e mi poteva succedere di tutto».
Che cosa l’ha salvata?
«La fame di successo attraverso qualcosa di pulito. Amavo il calcio di un amore smisurato».
E il colonnello Lobanovskyi?
«Modernissimo, 30 anni fa: l’attaccante fa il difensore e viceversa. Ci costringeva a sforzi incredibili per allenare forza e resistenza, anche mentale. Ma pure Ancelotti e Zaccheroni sono stati importanti».
La famiglia d’origine e quella creata con sua moglie Kristen: guscio o argine?
«Io sono quello che sono per come i miei genitori hanno fatto crescere me e mia sorella. Ai miei 4 figli insegno gentilezza, cortesia, rispetto, valori».
Il Milan ha trasmesso a lei Gattuso, Inzaghi, Pirlo il gusto per il bel gioco?
«Quando competi per vincere tutto, la scala in cima si restringe. Il successo del Milan nasceva dalle personalità: tanti di noi hanno avuto successo, da dirigenti, allenatori, presidenti, politici».
Da ct predica il calcio d’attacco?
«Il calcio moderno deve divertire, ma con equilibrio finalizzato al risultato: giocando bene, hai più possibilità. Non ho paura di puntare sui giovani: Shaparenko, Zabarnyi, Mykolenko. Tra quelli più grandi ho giocatori solidi, come Malinovskyi e Zinchenko».
All’Europeo potreste incrociare l’Italia agli ottavi.
«Non posso guardare così lontano.
Passare il girone è l’obiettivo».
A Genova nell’ottobre 2018, 1-1, ha visto l’inizio della rivoluzione tattica di Mancini.
«Lo dissi subito: non giudicate solo dal risultato. Lavoro e potenzialità si vedevano: livello alto, intensità, qualità soprattutto a centrocampo: Verratti, Jorginho, Insigne».
La più forte di questa Champions?
«Il Manchester City, ma ogni partita è fatta di momenti».
Il Milan è fuori da 7 anni.
«Dieci anni fa avrei detto che era impossibile, ma tante cose sono successe, a cominciare dalla vendita di Silvio Berlusconi. Spero per i tifosi che l’assenza sia finita».
Ne parla con Maldini?
«Ci sentiamo spesso. Il suo lavoro da dt è ottimo. La competitività nel calcio italiano è alta: l’Inter ha fatto la differenza anche perché la Juventus è calata. È un campionato equilibratissimo».
Però nel 2003 Milan, Juventus e Inter erano in semifinale Champions, ora la migliore è l’Atalanta di Gasperini.
«Sono cicli. Certo, il peso economico della Premier League è superiore.
Ma se hai meno soldi, compensi con la metodologia di lavoro, con l’esperienza. Considero la Serie A un eccezionale laboratorio».
Allenerà un club?
«Sì. Mi diverto, serve energia. Non mi chieda dove, ma vorrei un club di livello internazionale».