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 2021  maggio 06 Giovedì calendario

La carota di ghiaccio che svelerà i segreti della storia del clima

MILANO – Sa custodire i segni lasciati nell’aria dai fumi della prima rivoluzione industriale, dagli esplosivi della Grande guerra, dalla nube tossica di Chernobyl. Ha salutato il silenzio del Pian di neve in elicottero. Si è mossa in una cella frigorifera fino a Milano, protetta come una reliquia. Dovrà riposare per un mese prima di essere toccata. Ed entrerà qui, in questo regno a meno cinquanta gradi nascosto sotto i piedi della Bicocca. Dove cristalli di ghiaccio vengono letti come le pagine di un libro e gli scaffali conservano pezzetti di Antartide capaci di raccontare i segreti del clima di migliaia di anni fa.
Il viaggio della gigantesca carota di ghiaccio dell’Adamello è iniziato. Ci sono voluti dieci giorni di lavoro ininterrotto per portare a termine il più imponente e profondo campionamento delle Alpi italiane che ha portato a galla un siluro bianco di 225 metri, ora inscatolato in blocchi da 70 centimetri. Un’enciclopedia della storia ambientale e dell’uomo che questo laboratorio si prepara a studiare con un gruppo di ricerca internazionale. Sotto la lente polveri sottili antiche, bolle d’aria, microrganismi imprigionati da secoli. E tutto ciò che può svelare i cambiamenti climatici del passato e non solo. «Perché qualunque cosa faccia l’uomo il ghiacciaio lo archivia e può dircelo. Permettendoci così di ipotizzare come sarà il clima del futuro».
Valter Maggi è il glaciologo della Bicocca coordinatore del team scientifico del progetto “Ada 270”. È rientrato da poco dal campo base a più di tremila metri dove ha vissuto insieme ad altre otto persone, tra cui ricercatori di questa università e dell’istituto svizzero Paul Scherrer e due guide alpine. È lui ad aprirci la porta di EuroCold, perché è nel sottosuolo dell’ex quartiere operaio – trasformato dalla Bicocca in un avamposto della ricerca sul clima e sulla sostenibilità – che a Milano si studiano i ghiacciai. Dove si entra solo bardati come in una missione polare. E ci sono aree talmente fredde che dopo novanta minuti diventano off limits: immersi in questo gelo dopo un po’ si fatica anche solo a mantenere l’attenzione.
«Lavoriamo in Antartide, Groenlandia, sulle alte montagne come le Ande. Abbiamo bisogno di tenere il ghiaccio nelle condizioni più vicine al suo habitat», spiega. Da una distesa di scatole bianche tira fuori carote di ghiaccio che arrivano dai luoghi più freddi della terra. Hanno 50mila anni. Ma si può andare indietro fino a quando l’Homo sapiens ancora non c’era. Il principio di questa macchina del tempo, che ha la forma di un enorme surgelato, non è difficile: la neve congela un’informazione climatica nell’atmosfera e i suoi fiocchi, cadendo, la portano a terra. Nei luoghi dove non si scioglie, ecco nascere un libro fatto ghiaccio: nevicata dopo nevicata, strato dopo strato. Più si scava, più si racconta una storia lontana. Sull’Adamello la trivella è arrivata a 270 metri di profondità. «Cosa potrà dirci? Chi può dirlo, forse la storia degli ultimi 500 anni. Forse di 1.500». La Prima guerra mondiale è passata da queste montagne. «Troveremo le sue tracce. Come quelle della prima industrializzazione, dei test nucleari». Perché il ghiacciaio conserva tutto. Ricorda tutto.
Le carote vengono lavorate in una stanza dove il termometro arriva fino alla temperatura media dell’Antartide. E in mezzo agli strumenti che tagliano e misurano blocchi gelati, ce n’è uno che incanta i profani (come noi). È una specie di lente con due filtri polarizzatori che mostra i cristalli di ghiaccio su un vetrino. Quello che abbiamo davanti risale agli anni Ottanta, dentro ci sono tante piccole bolle che imprigionano l’aria che si respirava allora. L’immagine che riflette sembra un quadro di Seurat. Con una distesa di puntini colorati che quasi accecano, qui dove è il bianco che comanda.
Per le analisi vere e proprie c’è una zona incontaminata, dove si indossano tute come quelle dei reparti Covid. Solo qui, protetto da tutto, avviene la fusione del ghiaccio. Ed è questa la strada che percorrerà la carota dell’Adamello, ora chiusa nei freezer di un capannone in attesa che si abitui alla nuova pressione atmosferica. Ci sono voluti circa 300 mila euro per tirarla fuori. Finanziamenti arrivati da sponsor ed enti pubblici, tra cui la Regione, Fondazione Lombardia per l’ambiente e la Comunità montana Valle Camonica. «Ma abbiamo bisogno di nuovi fondi per questa parte della ricerca». Serviranno due anni di analisi e il lavoro di ricercatori di fisica, di biologia, di chimica, per capire cosa c’è scritto in questo libro di 225 metri. Se conosceremo la sua storia, sarà grazie a loro.