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 2021  maggio 06 Giovedì calendario

Il G7 si schiera contro Russia e Cina


LONDRA – Dopo Trump e la Brexit, l’Occidente ha ufficialmente ritrovato una ferma unità a leggere il comunicato finale del summit dei ministri degli Esteri del G7, conclusosi ieri a Londra. Le parole del documento di quasi cento pagine sono forti, ma il testo è la sintesi perfetta del traino della rinnovata “special relationship” tra gli Stati Uniti di Biden e il Regno Unito di Johnson insieme a un’Europa più cauta, che con la Cina e la Russia ha maggiore vicinanza commerciale e geografica.
Il padrone di casa Dominic Raab, il segretario di Stato americano Blinken, l’italiano Luigi Di Maio e tutti gli altri sferrano dunque una retorica severa contro Pechino e Mosca. Per quanto riguarda la Cina, i Sette si dicono profondamente preoccupati per «l’erosione della democrazia e il sistema elettorale di Hong Kong», il «non rispetto delle norme su commercio». C’è l’auspicio e l’impegno, chiesto dagli Usa, per un meccanismo contro le pratiche commerciali ed economiche scorrette da parte di Pechino. Ma soprattutto, riguardo lo Xinjang e il dramma degli uiguri musulmani, al testo manca solo la parola “genocidio” sdoganata tempo fa da Blinken. Per il resto, le parole pesano come macigni: «La Cina rispetti i diritti umani e la libertà. Siamo estremamente preoccupati dall’esistenza su larga scala di campi di “rieducazione politica”, lavoro e sterilizzazioni forzate».
A Mosca non va meglio. Anzi, qui l’unità dei Sette è stata trovata molto più facilmente rispetto alla Cina, sulla quale c’erano diverse sensibilità. La Russia viene dipinta come «una minaccia per l’ordine internazionale basato sul diritto, a causa del suo comportamento irresponsabile e destabilizzante. Siamo profondamente preoccupati dalle attività maligne contro le democrazie degli altri Paesi e dal deterioramento dei diritti umani in Russia e dal sistema di repressione». E poi: «Condanniamo l’avvelenamento di Aleksej Navalnyj con l’agente nervino Novichok. L’uso di armi chimiche è inaccettabile. I responsabili devono essere puniti».
Azioni concrete, oltre alle parole bellicose? Poche, se si esclude il rafforzamento del meccanismo “Rapid Response Mechanism” per una maggiore condivisione tra i Paesi delle minacce di disinformazione e fake news da parte di Mosca e Pechino. Ma non è un segnale di debolezza. La linea atlantica, più aggressiva, ha preso il sopravvento, ma l’assenza di misure punitive, in questo momento «controproducenti» (anche per lo stesso Blinken nel caso di Taiwan), in realtà è un serio avvertimento per Russia e Cina. Perché «il multilateralismo è davvero tornato» diceva ieri una fonte negoziale, e il blocco è pronto a annunciare sanzioni severe se Pechino e Mosca non facessero un passo conciliante verso i Sette. Insomma, il dialogo è sempre aperto, ma a certe condizioni. Non solo perché l’Europa è più cauta e difatti ieri la cancelliera Merkel ha ribadito l’importanza dell’accordo Ue-Cina sugli investimenti ora sospeso, ma soprattutto perché le ostili Cina e Russia saranno cruciali su vari tavoli, in primis il vertice del clima Cop26 organizzato proprio da Regno Unito e Italia in autunno a Glasgow.
Per il resto, unità su Myanmar, espansione globale dei vaccini anti Covid, Libia (impegno per stabilità, ritiro forze straniere ed elezioni di dicembre), Corea del Nord e anche Iran, verso i quali si ribadisce la volontà di riannodare la diplomazia sui dossier nucleari (vedremo se Usa e Teheran accetteranno), ma a condizioni puntuali e senza provocazioni. Non è un caso che proprio ieri Londra abbia finalmente concesso lo status diplomatico alla nuova ambasciata dell’Unione Europea, dopo tanta incomprensibile riluttanza. Ulteriore conferma che l’Occidente da oggi è molto più unito.