il Fatto Quotidiano, 6 maggio 2021
Intervista a Joe Lansdale
Joe Lansdale non ha bisogno di presentazioni. È autore affermato di noir, horror e thriller, e soprattutto della serie hard boiled con protagonista la coppia di detective spiantati del Texas orientale, Hap e Leonard. Un bianco progressista e un nero gay repubblicano amici per la pelle, i cui casi si risolvono sempre in una serie di sonore scazzottate. Ma Lansdale, che ha all’attivo ormai un centinaio tra romanzi e raccolte di racconti oltre a decine di fumetti (Batman, Tarzan…) e sceneggiature, è anche uno che ama andare al punto. Forse c’entrano le arti marziali, che insegna con un suo personale mash-up di discipline a Nacogdoches, Texas, dove vive.
Mentre aspettiamo a giugno la nuova edizione di Freddo a luglio (da cui il film omonimo) da martedì è in libreria Cronache dal selvaggio West, serie di racconti su Hap e Leonard giovani. Il titolo originale parodiava Steinbeck: Of mice and minestrone. Lansdale la fa semplice: “C’è un racconto con un topo e un minestrone. Aveva senso, tutto qui”.
Pensa sempre di ambientare un prossimo romanzo in Italia?
Sì, una storia di Hap e Leonard. Anche se ancora non mi sento di conoscere l’Italia abbastanza bene. Pensavo a Bologna…
Si è spiegato il perché del suo grande successo qui?
Mi fanno spesso questa domanda. Non ne ho la minima idea, ma mi fa piacere. Presumo che i libri siano tradotti molto bene. Ma forse il Texas affascina perché è un luogo remoto, un po’ come Marte…
Queste storie di Hap e Leonard saranno le ultime?
Non ancora. Sto per pubblicare alcuni racconti dal punto di vista di Leonard, anche senza Hap. Spero siano l’inizio di una raccolta su di lui. Però sento che mi sto avvicinando alla fine del ciclo sui due. Non subito: prima ho almeno altri tre libri.
Hap e Leonard sono cambiati nel tempo?
Se non cambiassero sarebbero noiosi. E poi al di là della trama, le loro storie sono per me anche un modo per parlare di come si affrontano le tappe della vita.
Perché ha scelto di creare una coppia di detective?
Perché sentivo di poter giocare con loro per creare non solo dialoghi interessanti e divertenti, ma anche per affrontare questioni sociali e politiche da due punti di vista diversi.
Oltre alle arti marziali e la musica, il cibo è molto importante nelle sue storie…
È uno dei motivi per cui amo l’Italia…
Quella tra detective e cucina è un’accoppiata tipica dei gialli. Si sente legato a questa tradizione?
Potrei rispondere di sì, ma il motivo principale è che il cibo mi interessa e piace alle persone. Come il resto, è un portato della mia esperienza. Buona parte della vita di Hap è la mia, Leonard è un misto di molte persone che ho conosciuto. C’è sempre un po’ di te in ogni personaggio. Anche quelli presi in prestito da altri autori, anche nel cane che abbaia.
A quale genere si sente più legato?
Al giallo e all’horror, ma scrivo di tutto. Più che altro sono uno scrittore freelance.
E affronta spesso questioni sociali, tipicamente quelle dell’America degli anni 60-70. Trova gli stessi problemi anche oggi?
Scrivo polizieschi, e nei polizieschi ci devono essere crimini e personaggi oscuri, sennò non sono interessanti. E se vuoi parlare di questioni sociali devi per forza concentrarti e martellare su quello che non funziona. Comunque, sono molto più felice ora che è presidente Joe Biden. Non dico che andrà tutto bene, Biden mi piace ma non è perfetto. Theodore Sturgeon (scrittore di fantascienza americano, ndr) diceva che il 99 per cento di ogni cosa è sempre merda. Resta l’uno per cento.
Cosa pensa della cancel culture, che ha lambito uno dei suoi autori preferiti, Mark Twain, e più di recente il biografo di Philip Roth?
Non conosco il caso del biografo di Roth e non posso commentarlo. In generale, c’è cancel culture da entrambe le parti. Mark Twain è attaccato da destra perché parla di razzismo e da sinistra perché usa termini razzisti. È un’idiozia: conta il contesto, non le parole. Nei miei libri uso un linguaggio offensivo, ma il contesto è antirazzista, per questo mi servono personaggi razzisti… Intendiamoci, per i crimini veri non ci sono scuse. Non andrò a vedere un film di Roman Polanski perché è provato che è uno stupratore. Non è questione di arte, lui trae profitto dai suoi film. Ci andrei se fosse morto, anche perché adoro Chinatown, e Rosemary’s Baby. Però un’offesa verbale non è uno stupro o un omicidio. La vita delude a volte, invece ci sono gruppi di giovani, più o meno universitari, che hanno paura delle delusioni e vogliono fissare regole per evitarle. Non puoi pretendere una legge per punire chi è stronzo solo perché è stronzo. Ma probabilmente sto già offendendo un sacco di gente con questo discorso. E allora che si fottano. La gente ha bisogno di incazzarsi ogni tanto.